Calcionews24
·11 giugno 2025
Porto, guida completa alla squadra: storia, giocatore chiave, giovane talento e allenatore

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·11 giugno 2025
Il Porto è inserito nel girone A del Mondiale per Club insieme ad Al Ahly, Inter Miami e Palmeiras.
Per comprendere l’anima del Futebol Clube do Porto, non basta guardare la sua bacheca scintillante. Bisogna scendere nelle strade della seconda città del Portogallo, sentire l’orgoglio indomito dei suoi abitanti e capire che, per loro, il Porto non è solo una squadra di calcio, ma un simbolo di resistenza e identità contro la capitale Lisbona. Fondato il 28 settembre 1893 da un commerciante di vino Porto, António Nicolau de Almeida, il club ha vissuto una prima fase effimera per poi rinascere nel 1906 grazie all’entusiasmo di José Monteiro da Costa, tornato da un viaggio in Inghilterra folgorato dal “football”.
I colori, l’azzurro e il bianco, non furono scelti a caso. Rappresentano i colori della bandiera portoghese all’epoca della monarchia costituzionale, un legame profondo con la nazione, ma con un’identità fieramente locale. Il soprannome più celebre, “Dragões” (Dragoni), è relativamente recente. Fu introdotto negli anni ’80 e si ispira alla creatura mitologica presente nello stemma della città, simbolo di forza e invincibilità. L’idea fu dell’ex calciatore e dirigente José Maria Pedroto, che volle dare alla squadra un simbolo combattivo che ne incarnasse lo spirito. Oggi, il drago campeggia fiero sullo stemma del club e lo Estádio do Dragão è un fortino temuto in tutta Europa.
Ma il soprannome che racconta la vera essenza della gente di Porto è “Tripeiros“. Letteralmente “mangiatori di trippa”, questo nomignolo ha radici storiche profonde. Risale al XV secolo, quando, per sostenere le spedizioni navali dell’Infante Dom Henrique (Enrico il Navigatore), gli abitanti di Porto donarono tutta la carne buona agli equipaggi, tenendo per sé solo le interiora e la trippa. Quello che era nato come un sacrificio è diventato un distintivo d’onore, simbolo della generosità e della resilienza di un popolo. Essere un “tripeiro” significa essere uno che non molla mai, esattamente come la squadra che lo rappresenta.
Tra le cose che forse non sai, c’è la storia della prima, grande coppa europea vinta dal Porto: la Coppa delle Coppe 1983-84 fu sfiorata, perdendo in finale contro la Juventus di Platini. Ma fu il preludio all’epopea. Un aneddoto divertente riguarda la celebre finale di Coppa dei Campioni del 1987 contro il Bayern Monaco: il tacco con cui l’algerino Rabah Madjer segnò il gol del pareggio fu un gesto talmente iconico e inaspettato da entrare nel vocabolario del calcio come “Tacco di Madjer”. Infine, una curiosità che lega il club all’Italia: José Mourinho, prima di diventare lo “Special One”, era l’assistente e traduttore di Bobby Robson sulla panchina del Porto. Fu lì che iniziò la sua leggenda.
Se c’è un giocatore che incarna la fantasia, la velocità e la versatilità del Porto moderno, quello è Eduardo Gabriel Aquino Cossa, meglio noto come Pepê. Brasiliano classe 1997, è un vero e proprio jolly offensivo, un concentrato di energia e talento puro. Comprato dal Grêmio come ala funambolica, capace di dribbling ubriacanti e accelerazioni brucianti, nel corso della sua esperienza al Porto si è trasformato in un giocatore totale.
Pepê è il tipo di calciatore che ti incolla allo schermo. Può partire dalla fascia per convergere e calciare, puntare il fondo per il cross, ma all’occorrenza è stato schierato persino come terzino fluidificante, dimostrando un’intelligenza tattica e uno spirito di sacrificio non comuni. È la sua imprevedibilità a renderlo letale: non sai mai se tenterà la giocata individuale, se cercherà il dialogo con i compagni o se si inventerà un tiro dalla distanza. In un calcio sempre più schematizzato, Pepê rappresenta la libertà e la gioia del calcio di strada brasiliano, lucidate dalla disciplina tattica europea. Sarà la sua vivacità a scardinare le difese più arcigne al Mondiale per Club.
Arrivato dal Boca Juniors con la pesante etichetta di “nuovo Mascherano“, il centrocampista argentino Alan Varela, classe 2001, ha impiegato pochissimo tempo per prendere in mano le chiavi del centrocampo del Porto. È un “volante” moderno, un mediano che unisce una straordinaria intelligenza tattica a una qualità notevole nel palleggio. La sua capacità di leggere le linee di passaggio avversarie, di recuperare palloni e di far ripartire l’azione con precisione e lucidità è impressionante per la sua età.
Varela non è il classico mediano di sola rottura. Ha visione di gioco, sa giocare a testa alta e non disdegna la verticalizzazione. La sua calma e la sua personalità lo fanno sembrare un veterano. In un centrocampo che dovrà vedersela con avversari di grande spessore tecnico e fisico, la sua intelligenza e il suo senso della posizione saranno cruciali per dare equilibrio alla squadra. Il Mondiale per Club sarà per lui la consacrazione definitiva sul palcoscenico internazionale, un’occasione per dimostrare di essere pronto per i massimi livelli del calcio mondiale.
Dal 27 gennaio 2025 Martin Anselmi. è ufficialmente il tecnico del Porto, con un contratto valido fino al 2027. Questa è la sua prima esperienza come capo allenatore in Europa.Stile di gioco e caratteristiche: è noto per un calcio propositivo e moderno. Il modulo più utilizzato negli ultimi due anni è il 3-4-3. In Argentina è stato definito il “nuovo Bielsa” per la sua filosofia di gioco. Curiosità: non è stato un calciatore professionista. Ha una laurea in giornalismo. Una volta, agli inizi della sua carriera, per filmare le partite della sua squadra giovanile, la moglie doveva salire su un albero con treppiede e telecamera, perché non c’erano le tribune.
Il Porto ha vinto due Coppe dei Campioni/Champions League, ma è la seconda, quella del 2004, a rappresentare il punto più alto e, per certi versi, irripetibile della sua storia. Quella vittoria fu un capolavoro assoluto di un giovane allenatore emergente, un certo José Mourinho. Partendo da outsider, quel Porto eliminò squadroni come il Manchester United (con la celebre corsa dell’ex interista Mourinho a Old Trafford), il Lione e il Deportivo La Coruña, per poi trionfare in finale a Gelsenkirchen contro il Monaco con un netto e indiscutibile 3-0.
Fu la vittoria dell’organizzazione tattica, della coesione del gruppo e dell’intelligenza di un allenatore che stava riscrivendo le regole del gioco. Giocatori come Deco, Ricardo Carvalho e Maniche diventarono stelle di livello mondiale. Quel trionfo non fu solo una vittoria sportiva, ma la dimostrazione che, con le idee, la programmazione e una mentalità d’acciaio, si può arrivare sul tetto d’Europa anche senza essere una superpotenza economica. È quella l’impresa che ispira ancora oggi ogni tifoso del Porto.
È difficile prevedere con certezza il cammino del Porto. Realisticamente, il Porto ha le carte in regola per superare la fase a gironi e raggiungere i quarti di finale. Arrivare in semifinale sarebbe già un grandissimo risultato, richiederebbe di superare una delle big europee o sudamericane. La vittoria finale è un obiettivo molto ambizioso, data la presenza di squadre come Real Madrid e Manchester City.In sintesi, il Porto può fare un buon Mondiale per Club, con l’obiettivo minimo di superare la fase a gironi e la possibilità di spingersi fino ai quarti di finale. Tutto ciò che andrà oltre sarà un successo straordinario per la squadra di Martín Anselmi.