Roma Primavera, l’ex Falsini: “Era finito il ciclo umano. Non hanno creduto in Coletta” | OneFootball

Roma Primavera, l’ex Falsini: “Era finito il ciclo umano. Non hanno creduto in Coletta” | OneFootball

In partnership with

Yahoo sports
Icon: Pagine Romaniste

Pagine Romaniste

·24 settembre 2025

Roma Primavera, l’ex Falsini: “Era finito il ciclo umano. Non hanno creduto in Coletta”

Immagine dell'articolo:Roma Primavera, l’ex Falsini: “Era finito il ciclo umano. Non hanno creduto in Coletta”

L’ex tecnico della Roma Primavera Gianluca Falsini ha parlato ai microfoni de La Gazzetta Regionale della sua esperienza sulla panchina giallorossa, soffermandosi anche su alcuni giovani talenti che ha avuto modo di valorizzare. Ecco le sue parole.

Perché non è andato avanti il cammino in giallorosso? “Era semplicemente finito un ciclo, non tecnico ma umano, un po’ per tutti, ma soprattutto per un paio di persone dentro Trigoria. Alcuni rapporti erano arrivati alla fine, volevano un’altra figura, un altro tipo di allenatore. Non voglio fare polemica, non ci sono retroscena clamorosi, c’erano visioni diverse sul tipo di progetto da proporre. Dopo quattro anni come i miei o cambi il modo di fare determinate cose o cambi le persone, allora è stato scelto di salutare chi voleva portare novità. D’altronde è più semplice mandare via una persona piuttosto che quattro o cinque cambiando le cose”.


OneFootball Video


Cosa intendi per cambiare il modo di fare alcune cose? “I ragazzi si allenano poco, è un problema del calcio italiano. In Francia il sistema scolastico aiuta i ragazzi ad allenarsi più volte al giorno, qui no. E chi a scuola non va più non è che si allena un numero maggiore di ore, si riposano. Io ne avevo sette che non frequentavano più, si allenavano due ore al giorno e poi basta. Avevo proposto un percorso diverso almeno per loro, mi sarebbe piaciuto allenare individualmente alcuni ragazzi, non solo calcisticamente, ma anche mentalmente, senza ovviamente sconfinare nel campo delle due psicologhe Rita e Alessia, due ragazze d’oro e grandi professioniste. Tanti hanno problemi, nulla di che il più delle volte, cose che sono sempre più frequenti in ragazzi adolescenti. Un confronto a questo proposito l’ho avuto anche con Ghisolfi, che mi confermò il fatto che in Italia siamo avanti tatticamente, ma molto dietro sul piano fisico, i francesi vanno al doppio”.

Quando hai saputo che non rientravi nei piani del club? “Me lo hanno comunicato il primo luglio. Io sapevo che sarebbe finita, anche se avessi vinto lo Scudetto non sarei rimasto neanche io, non c’era più voglia da parte di nessuno”.

Ti aspettavi un epilogo diverso? “No, come ho detto era finito il ciclo umano, non di certo quello tecnico che nel settore giovanile non si esaurisce mai”.

Peggio l’epilogo o il fatto che ora tu sia senza panchina? “Bellissima domanda, ma senza dubbio la seconda. Sono rimasto davvero sbalordito, non me lo aspettavo, eppure credo di aver dimostrato qualcosa. Questa è una cosa grave, non per me e basta, ma per un sistema in cui il merito non viene minimamente preso in considerazione. Credo sia il periodo più buio del calcio italiano e queste dinamiche ormai non mi stupiscono. Non si dà ragione al merito. 20 anni fa, quando giocavo io, c’era molta più attenzione. Non parlo di vincere campionati e basta, ma portare materiale umano in prima squadra, essere spendibile in società”.

Hai rimpianti? “Sinceramente no, auguro a tutti i tecnici di settore giovanile di fare un percorso come l’ho fatto io nella Roma, non solo per aver vinto tanto, per i record battuti, ma proprio perché c’è stata una crescita personale importante e per questo devo ringraziare il club e le persone che mi sono state vicine, soprattutto i primi tre anni. Con diversi altri tecnici, per esempio, abbiamo dovuto fare più cose all’interno della Roma, non necessariamente è un male, anche questo fa crescere”.

E sulla scorsa stagione, finita in semifinale, hai rimpianti? “Neanche uno. Abbiamo mandato in gol 20 giocatori di movimento con la terza squadra più giovane del campionato. Le altre due più giovani una è arrivata ai playout, l’altra è retrocessa. Non è stato fatto mercato, anzi diversi giocatori li abbiamo anche persi nel corso dell’anno”.

Secondo te perché la Roma ha perso giocatori? “Di solito c’è offerta, controfferta, sia economica che tecnica, se sono pari si va in quella migliore. Poi ci sono di mezzo i procuratori che chiedono soldi e tanti altri aspetti. Misitano non ha giocato perché la società non voleva, così come Marin, ma è giusto, lo potevo capire. Su Levak il discorso era diverso, non aveva ancora raggiunto accordi, c’era la speranza di coinvolgerlo ancora all’interno del progetto Roma, poi tutti sapevano che non sarebbe rimasto ma ci hanno provato”.

Toglici una curiosità: in quel blackout che è costato la peggior partenza negli ultimi 17 anni, c’entrava davvero l’arrivo di Juric? “Le prime partite sono andate molto bene, nonostante giocassimo con ragazzi che all’epoca non erano pronti per la Primavera, abbiamo avuto coraggio e alla lunga abbiamo avuto ragione. Tutto quello che è successo attorno mi ha toccato relativamente poco, ma il famoso cambio di modulo effettivamente c’è stato e sono rimasto deluso da me stesso. Sapevo benissimo che in fase di non possesso, soprattutto inizialmente, avremmo sofferto, ma sono rimasto male perché anche a livello offensivo notai una regressione, è stato un insegnamento importante per me. Il cambio lo aveva avuto voluto ovviamente la società per mantenere una linea con la prima squadra, una cosa normalissima, però insomma in qualche modo ci ha messo in difficoltà, anche questo fa parte del gioco”.

Anche a livello dirigenziale, parlando sempre di vivaio, ci sono stati diversi stravolgimenti negli ultimi tempi “Sì, ma non sono io che devo giudicare questo, ho una mia idea, ma lascia il tempo che trova. Io quello che so è che chi lavora in un settore giovanile deve essere spendibile per il club, deve portare in qualche modo nuove soluzioni. Coletta l’ho allenato tre anni, è andato via a un milione di euro in un contesto come quello del Benfica; Mannini, Graziani, Reale e Marazzotti sono nel Professionismo, Romano anche lo possiamo considerare da prima squadra e così via. Lavorare in un settore giovanile è equiparabile ad alcune prime squadre, non c’è solo un risultato da raggiungere, ma anche sviluppare valore, plusvalenze”.

Tu che li hai allenati entrambi, come ti spieghi questa differenza di valore importante tra Buba Sangaré e Coletta? “Il discorso è davvero molto semplice: non hanno creduto nel talento di Coletta e lo hanno venduto. Poi se mi chiedi chi ha deciso questo non lo so. Ranieri? Non credo, avrà chiesto a Massara, che però è arrivato da poco, quindi avrà chiesto anche lui. Credo siano le stesse persone che non hanno più voluto Falsini, ma non so quali sono e neanche mi interessa saperlo. Sta di fatto che non hanno creduto in Coletta come non hanno creduto in Falsini. C’è chi alcune cose le riconosce e chi no per tanti motivi”.

Hai altro da aggiungere? “Sì. Roma è una figata e questi quattro anni sono stati qualcosa di meraviglioso. Sono cresciuto tanto, ho conosciuto persone splendide – non tutte devo essere sincero – ma tante splendide. Non sono romano e non sono romanista, ma questi colori e questa città li porterò sempre dentro”.

Visualizza l' imprint del creator