Sabatini: “Nel Bologna sono stato una meteora ma l’amore è rimasto, la Coppa Italia una grande gioia. Sinisa era il coraggio fatto uomo, su Orsolini avevo ragione” | OneFootball

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·16 giugno 2025

Sabatini: “Nel Bologna sono stato una meteora ma l’amore è rimasto, la Coppa Italia una grande gioia. Sinisa era il coraggio fatto uomo, su Orsolini avevo ragione”

Immagine dell'articolo:Sabatini: “Nel Bologna sono stato una meteora ma l’amore è rimasto, la Coppa Italia una grande gioia. Sinisa era il coraggio fatto uomo, su Orsolini avevo ragione”

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Settant’anni compiuti poco più di un mese fa, una vita intera dedicata anima e corpo al calcio, con le sigarette come unità di misura del tempo e delle emozioni. Almeno finché, dopo un brutto spavento, non gli sono state negate. Iconico, geniale, romantico, complesso, affascinante, eccessivo, anticonformista, un poeta maledetto che ha trovato in Eupalla (per citare il maestro Gianni Brera) la sua musa ispiratrice. Ma racchiudere Walter Sabatini dentro un aggettivo o una definizione è impresa impossibile, perché ogni volta ne viene fuori e ribalta il fronte con una giocata degna dei tanti talenti scoperti durante la sua lunga e brillante carriera da d.s., che dal 2019 al 2021 ha fatto tappa anche a Bologna. Meglio dunque cedere a lui il palcoscenico, come si fa coi grandi artisti, quelli che nel bene o nel male riescono sempre a lasciare il segno.


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Sabatini, come vive oggi osservando il mondo del calcio dall’esterno? «Il calcio rimane la mia passione: naturalmente ora sono meno coinvolto ma, seppur in maniera un po’ distaccata e asettica, guardo partite e giocatori con grande attenzione. Ieri sono riuscito a vedere in contemporanea lo spareggio Sampdoria-Salernitana e la sfida del Mondiale per Club tra PSG ed Atletico: seguo tutto, a prescindere dalla categoria e da chi si confronta».

Quali sensazioni ha provato nel vedere il Bologna tornare ad alzare un trofeo dopo 51 anni? «Una grandissima gioia: amo Bologna, è una città meravigliosa con gente meravigliosa e sono veramente contento della loro felicità, avendola toccata con mano. La Coppa Italia è stata la ciliegina sulla torta di una bellissima stagione costruita da tutte le componenti, perché è vero che Italiano ha lavorato benissimo ma altrettanto ha fatto la società con Fenucci, Sartori e Di Vaio. Spero sia l’inizio di un’epoca che ripristini il club sui livelli a cui era abituato fino alla metà degli anni Settanta».

Anni e fasti indimenticabili… «Io sono forse tra gli ultimi testimoni dello spareggio del 1964 tra Bologna e Inter, ero uno di quelli che tifava per la formazione di Bernardini contro quella di Herrera. Il BFC ha una storia importantissima: come dimenticare ad esempio il ciclo di trionfi con Weisz in panchina, prima che quest’ultimo fosse costretto all’esilio in Olanda, dove conobbe la cattura dei nazisti? In questa stagione, ma anche in quella precedente, i rossoblù hanno fatto cose che rimarranno nella memoria collettiva per almeno cinquant’anni».

Qual è il suo giocatore preferito di questo Bologna? «Il mio preferito, in primis per una questione affettiva, è Lorenzo De Silvestri. Le nostre strade si incrociarono quando lui aveva 16 anni ed era negli Allievi della Lazio: nel 2020 ho spinto per portarlo a Bologna perché pensavo che potesse garantire in spogliatoio ciò che poi avete visto, ovvero equilibrio, intelligenza e generosità. Si tratta inoltre di un ragazzo che parla diverse lingue e dunque è perfetto per il calcio contemporaneo, oltre al fatto che tuttora le sue prestazioni sono al di sopra di ogni sospetto».

A suo avviso perché Sartori ha sempre lavorato in determinati contesti, senza mai approdare in una cosiddetta ‘grande’? «Credo siano scelte di vita, prima ancora che professionali. All’inizio Sartori ha operato benissimo al Chievo, tenendo una squadra di quartiere in Serie A per diversi anni e portandola addirittura in Europa. Poi ha lasciato un autografo indelebile a Bergamo, dove i suoi poteri si sono un po’ ‘contratti’ e il suo ruolo si è alleggerito, nel senso che all’Atalanta il gruppo di lavoro comprende anche i proprietari Antonio e Luca Percassi. Giovanni ha una profonda conoscenza del calcio e una grande sensibilità, e l’ha fatto vedere una volta di più a Bologna: non che dovesse dimostrare nulla, data la sua carriera, ma ciò che ha fatto rappresenta un qualcosa di storico».

E lei quali meriti si riconosce nel suo percorso rossoblù? «Nessuno, perché non ne ho. Il mio passaggio è stato una sorta di meteora, ho sbagliato a sposare l’idea di venire a lavorare a Casteldebole perché c’era già una struttura tecnica con a capo Riccardo Bigon. Nonostante il nostro ottimo rapporto, si è creata una sovrapposizione che non mi ha permesso di esercitare il mio ruolo fino in fondo. Ripeto, sono io ad aver sbagliato ad accettare quella situazione, ma l’ho fatto perché mi attraeva tantissimo Bologna, come città e realtà sportiva. Pensavo di poter aprire un ciclo importante: non è successo e me ne rammarico, ma sono cose che fanno parte del calcio».

A tal proposito, com’è stato lavorare al fianco di un altro d.s. già presente in organigramma? «Non solo un d.s., ma proprio un’intera struttura legata a lui: questo non mi ha disturbato, perché io ho sempre fatto calcio come volevo, ritagliandomi i miei spazi nel rispetto dei ruoli e delle posizioni, però ho dovuto adeguare i miei comportamenti alla scelta fatta. Ero troppo attratto dalla prospettiva di Bologna, ma ho accettato di venire in una condizione generale che non era tagliata per il mio carattere e il mio modo di essere».

Oltre al dolore sul piano umano, quanto è forte il rammarico per quel Bologna che con Mihajlovic sempre in sella sarebbe potuto crescere tanto? «Quella squadra era di buon livello, sì, ma non quanto quella odierna. Avevamo un condottiero, la trasformazione del coraggio in uomo, rappresentato in maniera plastica da Sinisa. Ha fatto delle cose incredibili di cui sono testimone: scendeva sul campo in giornate nelle quali la malattia gli procurava serissime difficoltà in termini di forza, di consistenza fisica e muscolare. Però lui ci andava, per amore del suo lavoro e dei suoi ragazzi, sfidando veramente se stesso e la sua sorte».

Nel 2020 lei valutò Orsolini 70 milioni e qualcuno la ritenne una battuta: visto il prosieguo di carriera, ci aveva visto lungo… «Peraltro feci uno sconto sul cartellino, che ne valeva 80 (ride, ndr). Riccardo sta diventando un giocatore fondamentale perché ha fatto miglioramenti intellettuali e psicologici grandiosi, oggi in campo interpreta il ruolo di leader tecnico: è arrivato ad essere quello che io ho sempre immaginato potesse essere, ovvero un calciatore perentorio e determinante in ogni circostanza. Quando parlai di lui ipotizzando quella cifra stavo esternando la mia idea di Orsolini, idea che ora si sta conclamando e che mi rende veramente felice. Se lo merita perché è un bravo ragazzo, leggero e legato alla vita, sempre rispettoso dei ruoli».

Barrow, invece, è il suo più grande rimpianto a livello di acquisti rossoblù? «Credo che a Musa siano mancate soprattutto cattiveria e determinazione. Perché per il resto stiamo parlando di un giocatore straordinario, io lo considero tale».

Ha più avuto occasione di parlare col presidente Saputo dopo il rapporto terminato nel settembre 2021? «Io con Saputo ho parlato nel momento stesso in cui sono uscito dal Bologna: tra me e lui c’era stato un battibecco in tribuna ad Empoli, poi gli ho mandato un messaggio dando la mia disponibilità a farmi da parte e lui ha accettato questa mia ipotesi. Ci siamo parlati in quella circostanza e lì ci siamo salutati: non è stata una pagina esaltante della mia vita professionale, ma il tempo passa e certe cose finiscono nel dimenticatoio».

Chiudiamo con Gattuso, a cui lei è molto legato: come lo vede nelle vesti di c.t. dell’Italia? «Ricordo che lo portai al Perugia da bambino, era arrivato in prova a dodici anni e ci misi meno di dieci minuti per decidere di prenderlo. Mi fa enormemente piacere, credo che la Nazionale sia un premio estremo per la carriera di tutti: Gennaro è ancora un tecnico giovane e forse questo incarico è un po’ prematuro, ma sono convinto che si rivelerà all’altezza. Oggi è un allenatore ancora ‘in viaggio’, non avendo fatto cicli molto lunghi o così importanti, quindi il mio augurio è anche quello di avere fortuna. Perché senza fortuna il calcio non ti fa esistere».

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