Calcio e Finanza
·6 maggio 2025
Spalletti: «Via da Napoli perché non potevo più sostenere il conflitto con De Laurentiis»

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·6 maggio 2025
Esce oggi per Rizzoli il libro autobiografico di Luciano Spalletti, Ct della Nazionale e protagonista assoluto del calcio italiano degli ultimi anni. Il volume è stato redatto con la collaborazione di Giancarlo Dotto, giornalista e autore di numerose biografie (Carmelo Bene, Maurizio Costanzo e Ornella Vanoni).
In “Il Paradiso esiste… ma quanta fatica”, Spalletti si racconta in modo generoso, svela storie, retroscena, personaggi del suo mondo. Un esempio particolarmente interessante è il capitolo “Le verità nascoste”, dedicato ad Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli Campione d’Italia di Luciano Spalletti.
Di seguito, alcuni estratti del libro in cui il tecnico parla del patron dei partenopei:
Ho chiuso con il passato, ma Napoli e i napoletani non saranno mai il mio passato. Sono andato via perché non avevo più la voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, a cui la città deve tanto, ma con un ego molto, forse troppo grande. Aurelio De Laurentiis.
Il presidente era quello che metteva la ceralacca sulle cose, su tutto, che certificava se una scelta era giusta o meno. Ero stanco di fare battaglie per ogni questione. Che fosse dare una maglia ai giocatori che la chiedevano per i loro figli o il dover cambiare gli alberghi di continuo per i motivi più disparati. Anche in questo, il Sultano sapeva sorprenderci. L’uomo, si sa, è molto estroso. Imprevedibile. Capace di quel ragionamento in più che ti spiazza.
Come quella volta, agli inizi della mia storia al Napoli. Il nostro albergo abituale era in corso Vittorio Emanuele. Arriva la Juventus e ci viene comunicato che dobbiamo cambiare «casa». Uno sfratto esecutivo. Noi veniamo dirottati in un altro hotel in centro, scomodo per lo spostamento verso lo stadio, con i naturali dubbi che una mossa del genere può far nascere nei calciatori. Tipo quello che sulle nostre abitudini comandino gli avversari.
Quell’anno, questo cambio forzato si verificò varie altre volte: avemmo a che fare con quattro-cinque strutture diverse. Insomma, in tutta la mia storia a Napoli, ho giocato due partite contemporanee: quella con gli avversari e l’altra con il presidente. Un confronto costante, spesso al confine dello scontro.
[…] La stagione dello scudetto, alla vigilia di una partita difficile, il presidente mi scrisse, secondo lui per motivarmi: «Puoi andare dodici punti da solo in testa, carica i ragazzi!». Aveva aperto il rubinetto dell’acqua calda. Gli risposi: «Grazie del prezioso consiglio, presidente, ne terrò conto». Il suo amore per il Napoli, quell’anno, lo dimostrò soprattutto quando cessò non solo di commentare le formazioni ma anche di parlare in pubblico, ai giornalisti. Fu un silenzio che fece rumore.
Il più grande sacrificio per uno come lui, intrattenitore e uomo di spettacolo che ama occupare il centro della scena. Il Napoli stava marciando alla grande, giocava un calcio bellissimo e riconosciuto nel mondo, tutto filava alla perfezione e lui, uomo arguto come pochi, capì in fretta che tanta bellezza avrebbe trascinato altrettanta economia.
Possiamo dire che il suo eroico silenzio, la sua scelta di non parlare con i media, fece il paio con la mia di vivere come un monaco nel rifugio di Castel Volturno. Due uomini molto diversi che facevano il loro voto di castità alla causa del Napoli. Ognuno a modo suo.
Forse, devo immaginare, fu quella stessa ritrosia, quella stessa voglia di non figurare da protagonista, che lo spinse a non farsi sentire la sera dello scudetto. L’eccesso di riservatezza lo indusse a non farsi vivo nemmeno con una telefonata per condividere se non altro l’impresa, mentre la città intera impazziva di gioia. Non telefonò la sera che vincemmo il campionato. Né all’allenatore, né ai giocatori, né al direttore, né al team manager. Non telefonò a nessuno.
Troppo impegnato a giocare la sua partita personale sul prato festante del Maradona. Tutte quelle sterzate nel giro di campo in solitaria lo avevano distrutto. Telefonò il giorno dopo, perché aveva programmato di farci atterrare all’aeroporto militare di Grazzanise anziché a Capodichino. E in questa telefonata ci chiese, da uomo educato qual è, com’era andato il viaggio. Seguì un nuovo silenzio.
Qualche tempo dopo, il presidente mi fece recapitare dal nuovo direttore del centro di Castel Volturno assunto da poco, che io quasi non conoscevo, una sua lettera scritta a mano. Esauriti in una riga e mezzo i formali complimenti per lo scudetto, mi sottoponeva la necessità di attenermi al contratto, rispettando il suo prolungamento automatico per un altro anno. C’era un’opzione che gli riconosceva il diritto unilaterale di avvalersene. Lui, alla firma del contratto, si era fissato che voleva fare due anni più due di opzione. A fatica ero riuscito a levargli un anno di opzione.
Nel suo entusiasmo congenito che, a volte, sconfina nell’eccessiva sicurezza di sé, al presidente viene facile dimenticare che, dietro i contratti, non ci sono solo dei dipendenti ma degli uomini. Come gli feci presente di rimando in una mia lettera, anch’essa scritta a mano, sarebbe stato utile e giusto parlarsi, per il bene del Napoli. Farlo, magari, avrebbe cambiato il corso delle cose. Invece lui, già a marzo, intervenendo al Maschio Angioino alla consegna del premio Bearzot che avevo vinto, prese il microfono e si fece la domanda che nessuno gli aveva fatto: «Vuole domandarmi se Luciano Spalletti resterà al Napoli?» chiese al conduttore della cerimonia.
«Luciano Spalletti resterà al Napoli» si rispose. Forte della convinzione di potermi imporre la sua volontà. […] Ancora oggi in tanti mi chiedono: «Ma se il presidente si fosse comportato diversamente allora, se avesse mostrato maggiore attenzione e sensibilità, avresti fatto una scelta diversa? Saresti rimasto al Napoli?». Domanda che ho sempre lasciato cadere. La risposta è sì, se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa ci volesse per rivincere, alla fine sarei rimasto. In ogni caso, lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli.