Storia del Pallone d’oro: il ’95, George Weah | OneFootball

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·1 maggio 2020

Storia del Pallone d’oro: il ’95, George Weah

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Attaccante dalle innate qualità fisiche e tecniche, è riuscito ad associare grande senso del gol ad abilità nel gioco con i compagni. George Weah è stato un rivoluzionario del calcio africano elevandolo a vette mai toccate in passato, se non con Eusébio che però si definì sempre portoghese. L’Africa invece rimase sempre nel suo cuore così come la sua Liberia e ogni scatto, ogni gol, ogni progressione era una dedica alla sua terra. Giocò preferibilmente da seconda punta, possibilmente a sostegno di un centravanti di grande statura, ma i campioni si sanno adattare a chiunque.Nacque a Monrovia nella Capitale della Liberia in nel difficilissimo quartiere di Clara Town, una vera e propria baraccopoli. Il calcio, fatto rigorosamente con palloni di stracci, era l’unico modo per poter dimenticare i problemi e la povertà che lo affliggeva, ma di scuole calcio nemmeno a parlarne. Qualche realtà iniziò a proporgli di giocare nel maggiore campionato solo nel 1985, quando aveva diciannove anni e ad acquistarlo fu il Mighty Barolle. Le sette reti in sole dieci partite lo fecero notare in tutta la nazione e a fine anno la squadra riuscì nella conquista di campionato e Coppa. In estate però cambiò casacca e gli Invicible Eleven, principale squadra della Capitale, riuscirono a portarlo tra le proprie fila. Da titolare inamovibile segnò valanghe di gol riuscendo a realizzare ben ventiquattro reti, il record in carriera per lui, in sole ventitre partite. Con i gialloblu riconfermò l’exploit dell’anno precedente e nei due anni in Patria conobbe solo successi. Nel gennaio 1987 debuttò anche in nazionale, segnando subito contro la Nigeria, e il campionato liberiano era diventato ormai troppo piccolo per lui, ma l’Europa doveva ancora attendere. I primi a farsi avanti furono gli ivoriani dell’Africa Sports, ma ad Abidjan le cose non andarono nel migliore dei modi e dopo una veloce risoluzione del contratto passò in Camerun al Tonnerre Yaoundé. Con i bianconeri si confermò attaccante spietato mantenendo sempre una media gol molto elevato, ben quattordici le marcature in diciotto gare, e a fine anno arrivò un’altra vittoria in campionato. Nei primi tre anni da calciatore aveva conosciuto solo vittorie e ora si trovava in una nazione molto seguita dal Vecchio Continente.

Nell’estate del 1988 prese i bagagli e passò nella città più ricca d’Europa, quella Montecarlo che era in totale antitesi con la baraccopoli di Monrovia. Un torneo molto più difficile e tattico come quello francese gli creò vari problemi nelle prime giornate, ma una volta prese le misure fu inarrestabile. Weah segnò i suoi primi gol alla tredicesima giornata con una doppietta allo Strasburgo e dimostrò come la posta in gioco elevata lo esaltasse. Quelli infatti erano gli anni del Marsiglia e riuscì a segnare in entrambe le sfide con l’OM, prima nel trionfale 3-0 del Louis II e poi con una doppietta riuscì a pareggiare al novantesimo una splendida sfida al Vélodrome. La Francia aveva conosciuto questo nuovo campioncino e se ne stava innamorando e con l’esperto Mark Hateley formò una coppia gol di tutto rispetto. Le quattordici marcature di fine anno furono un bottino più che soddisfacente, ma la squadra chiuse al terzo posto. Quando tutti si aspettavano la conferma nella seconda annata venne frenato da un grave infortunio che gli fece saltare quasi tutta la stagione, ma al suo rientro nel 1990-91 fu una furia. Le sue grandi prestazioni in Coppa di Francia contro Toulon Var negli ottavi di finale e Gueugnon in semifinale diedero un grande contributo per arrivare in finale contro il Marsiglia e una rete nel finale di Passi diede a George il primo titolo fuori dall’Africa. Si dice che vincere aiuta a vincere e nella sua quarta stagione in biancorosso segnò come mai più riuscirà a fare in Europa, ben diciotto centri, e le sue giocate furono fondamentali per la splendida cavalcata in Coppa delle Coppe. Fantastica la sua girata al volo di destro nella semifinale a Rotterdam contro il Feyenoord che contribuì all’accesso in finale. A Lisbona però fu il Werder Brema ad alzare il trofeo e a fine anno il liberiano decise che era giunto il momento di cambiare aria.


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Molte squadre si erano interessate a lui, ma alla fine decise di rimanere ancora in Francia e accettare la corte dell’ambizioso Paris Saint Germain. Il Marsiglia avrebbe ancora dominato quel campione ma si stava per abbattere lo scandalo che passerà alla storia come la “Vicenda VA-OM” e che portò alla revoca del titolo. Il Psg, trascianato dal proprio campione africano, arrivò terzo in campionato ma fu in Europa che fece vedere cose meravigliose. George si esaltava nelle notti di Coppa e lo scoprì molto bene il pubblico del San Paolo di Napoli quando una sua strepitosa doppietta, girata al volo di destro e poderosa elevazione di testa, portò alla sconfitta degli Azzurri. Nei quarti i parigini disputarono una delle più grandi partite della storia del calcio francese asfaltando in casa il Real Madrid per 4-1, ribaltando così il 3-1 subito al Bernabéu. Ad aprire le danze in quella magica notte fu proprio un’incornata da calcio d’angolo di Weah. Il liberiano andò a segno anche nella semifinale di andata a Torino contro la Juventus, ma Roberto Baggio dimostrò perché stava per vincere il Pallone d’oro e con tre reti nelle due sfide mandò in finale i bianconeri. A Parigi però c’era un progetto solido e vincente alla base e così ecco che nel 1993-94 arrivò il tanto atteso trionfo in Ligue 1. George formò con Ginola una coppia d’attacco strepitosa fatta tutta di colpi di classe e reti e il Psg dominò il campionato dall’inizio alla fine. Sembrava destinato ad aprire un ciclo, ma in realtà già dalla stagione successiva le cose non andarono per il meglio. I ragazzi di Fernández si concentrarono unicamente sulla Champions League, mentre in campionato si presero delle preoccupanti pause tanto da chiudere solo al terzo posto. Weah fu la perfetta testimonianza di questa doppia faccia dei parigini tanto che a fine anno furono più i gol in Europa rispetto a quelli in Ligue 1. Nella Coppa dalle Grandi Orecchie fu devastante e a pagare fu già ai gironi una grande come il Bayern Monaco che venne travolto dai colpi del campione africano. Fu favolosa la sua rete all’Olympiastadion quando saltò come se nulla fosse tre difensori tedeschi e poi lasciò partire un perfetto destro all’incrocio che freddò Kahn. Nei quarti di finale fu semplicemente perfetto contro il Barcellona e soprattutto al Camp Nou fece impazzire Koeman che non riuscì mai a fermarlo. Un suo colpo di testa fu fondamentale per poter tornare dalla Catalogna con un ottimo 1-1 e rendere il 2-1 del Parco dei Principi utile per arrivare in semifinale. Qui fu però il Milan a fermare la corsa dei francesi verso l’ultimo atto di Vienna, ma anche con i rossoneri si rivelò un’autentica spina nel fianco e le sue prestazioni non passarono inosservate. Con otto reti si laureò capocannoniere del massimo torneo continentale. L’Italia però era ormai nel suo destino e Berlusconi vide in lui l’uomo per far ripartire un grande ciclo del Diavolo. In estate vennero spesi undici miliardi di lire per portarlo alla corte di Fabio Capello e l’investimento fu prontamente ripagato. Dopo soli sei minuti segnò nella gara di esordio contro il Padova, ma fu nelle due gare a Roma che diede il meglio di sè. Già alla terza giornata con una magistrale doppietta stese i giallorossi, ma contro i biancocelesti si inventò un gol pazzesco saltando Marcolin e passando in mezzo a Nesta e Bergodi prima di trafiggere Mancini di esterno destro. Una rete da campione assoluto che dimostrò ancora una volta come le difficoltà e le grandi sfide lo esaltassero. A fine anno France Football decise che, nonostante una stagione senza trofei, avrebbe dovuto essere lui il primo giocatore africano a vincere il Pallone d’oro. Con centoquarantaquattro voti superò i centotto di Klinsmann e i sessantasette di Litmanen scrivendo così una pagina leggendaria di questo premio.

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Le undici reti di fine anno contribuirono alla vittoria dello Scudetto del Milan e il liberiano fu l’assoluto trascinatore della squadra. L’addio a fine di Capello però creò un vuoto che si rivelò incolmabile e l’arrivo di Tabárez non portò nulla di buono. Weah iniziò alla grande la sua seconda annata in Serie A segnando probabilmente il più bel gol in carriera. Con una spettacolare cavalcata, partendo dalla sua area di rigore e arrivando dall’altra parte del campo, arrivò davanti al portiere del Verona Gregori che venne battuto con un perfetto destro all’angolino. I campioni d’Italia però fallirono completamente arrivando addirittura solo undicesimi a fine anno e non bastarono le tredici reti del liberiano, suo anno più prolifico in rossonero, per salvare la stagione. Nell’estate 1997 venne richiamato Fabio Capello ma il ricambio generazionale fu disastroso e con tanti acquisti senza senso il Diavolo visse un’altra stagione nell’anonimato del centro classifica. George continuava a essere una luce di speranza, ma da solo poteva fare ben poco. Nel 1998 arrivò Alberto Zaccheroni e con l’acquisto di Oliver Bierhoff tutti si aspettavano fuoco e fiamme dalla coppia d’attacco. Il tecnico romagnolo però si fissò per tutto il girone d’andata con il suo 3-4-3 relegando Weah sulla fascia dimezzando così il suo potenziale. I pessimi risultati del Milan portarono i senatori della squadra a imporre il cambio di modulo e al rombo di centrocampo con due attaccanti. Nonostante Zac non fosse convinto accettò e iniziò una delle più grandi rimonte della storia della Serie A. I rossoneri iniziarono a vincere senza sosta e si portarono a ridosso della Lazio capolista fino a quando non la superarono dopo una vittoria al Delle Alpi contro la Juventus. Nonostante lo scarso impiego fu proprio George il protagonista di quel pomeriggio piemontese. Fu ispiratissimo per tutti i novanta minuti e nel secondo tempo decise l’incontro. Prima sfruttò un errato retropassaggio di Montero e di testa fece un pallonetto a Peruzzi per lo 0-1 e nel finale stoppò di petto un assist di Boban e di piatto destro piazzò all’angolino il definitivo 0-2. Una doppietta di straordinaria importanza e nell’ultima giornata a Perugia il Milan vinse il suo sedicesimo Scudetto.Nonostante continuassero le incomprensioni con Zaccheroni decise di rimanere ancora in Lombardia, ma con l’arrivo di Andriy Shevchenko il suo spazio fu ancora più limitato. Riuscì però a decidere al novantesimo un derby contro l’Inter, ma a gennaio capì che la sua storia rossonera era finita. Iniziò a cambiare squadra ogni sei mesi accettando ricchi contratti dal Chelsea, Manchester City e Marsiglia, prima di chiudere carriera all’Al Jazira negli Emirati Arabi Uniti. Nel 2002 non solo si ritirò ma riuscì anche a giocare la Coppa d’Africa, dopo un’anonima partecipazione nel 1996, e contro il Mali riuscì a segnare la sua unica rete in un’importante competizione internazionale per nazioni.La falcata la sua arma principale, lo scatto nel breve il modo per essere imprendibile per gli avversari, il gol il mezzo finale per entrare nella leggenda. Un pioniere del calcio africano e della politica, tanto da diventare il Presidente della Liberia, ma per tutti sarà sempre un grande campione, il grande George Weah.

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