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·20 marzo 2020
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Quando nel dicembre del 1986 France Football contattò Igor Belanov per annunciargli la vittoria del Pallone d’oro fu lui stesso uno dei più sorpresi. Non perché non fosse riconosciuto da tutti come un grande campione, ma perchè dichiarò:”So bene che questo riconoscimento individuale è in realtà è un riconoscimento alla Dinamo Kiev e probabilmente il premio l’avrebbe meritato Zavarov perché senza i suoi assist non avrei potuto segnare così tanto“. Rispetto al compagno di squadra futuro juventino, Belanov era però più completo, un numero dieci piccolo e velocissimo, capace di inserirsi all’interno delle difese avversarie con estrema facilità ed essere in grado di segnare o di servire assist vincenti. Un giocatore in grado di fare tutto e perfetto per l’idea di calcio che aveva in mente il Colonnello Lobanovski nella sua quasi perfetta macchina calcistica. La sua posizione in campo era mutevole, così come quella di tutta la squadra, perché le indicazioni del tecnico di Kiev erano chiare. Tutti dovevano attaccare e tutti dovevano difendere, i ruoli non esistevano più se non per i difensori e gli incursori. E Igor faceva parte della seconda categoria e come era tagliato per quella mansione.
La sua carriera però iniziò in sordina nella sua Odessa prima con il piccolo SKA e poi con la principale squadra cittadina, il Chornomorets. Vi giocò fino a ventiquattro anni e dopo vari campionati conclusi in un anonimo centro classifica nel 1984 i Marinai disputarono una grande stagione arrivando quarti in classifica a soli sei punti dallo Zenit Leningrado campione. Belanov aveva quindi fatto capire di che pasta era fatto e dalla stagione seguente la Dinamo Kiev si assicurò le sue prestazioni e da qui iniziò il dominio ucraino in Unione Sovietica.
Belanov contribuì immediatamente alla vittoria dell’undicesimo titolo sovietico della sua squadra, e il primo a livello personale, e il 2 maggio 1985 riuscì a debuttare in nazionale in una sfida contro la Svizzera a Mosca. L’ingresso nell’undici titolare sovietico non fu immediato, ma il 1986 fu un anno veramente magico per lui.In campionato fu decisivo per la vittoria del secondo titolo consecutivo dove i ragazzi di Lobanovski riuscirono a staccare di un punto la Dinamo Mosca e di due lo Spartak Mosca, ma fu in Europa la vera galoppata decisiva. La squadra si era qualificata per la Coppa delle Coppe e Belanov divenne capocannoniere del torneo con cinque reti assieme ai compagni di squadra Blochin e Zavarov. Da incorniciare per lui furono i due quarti di finale contro il Rapid Vienna dove trovò la via del gol in tre occasioni e nell’ultimo atto di Lione la squadra rifilò un secco 3-0 all’Atlético Madrid dove Igor non segnò ma fu decisivo nel servire la palla vincente a Zavarov per l’1-0 dopo soli cinque minuti. Dopo i primi trofei in patria era arrivato anche un successo internazionale, incredibile per un giocatore che solo due anni prima lottava per non retrocedere. Il 1986 però fu anche l’anno del Mondiale in Messico e l’Unione Sovietica decise di far sedere in panchina proprio Lobanovski che mise Belanov come titolare inamovibile. Nella prima gara i sovietici stupirono il mondo rifilando un tennistico 6-0 all’Ungheria e Igor segnò il suo primo gol in nazionale. La squadra giocava bene e vinceva e così passò il turno, ma agli ottavi di finale c’era l’altra grande sorpresa del torneo: il Belgio. A León si svlose una delle più grandi partite mai viste in una Coppa del Mondo e il ragazzo di Odessa riuscì a segnare ben tre reti a una leggenda come Pfaff, ma tutto questo non bastò. La squadra che giocava probabilmente il calcio più bello venne eliminata ai tempi supplementari con un pirotecnico 4-3, un risultato che piace molto alle edizioni messicane. L’Urss era già fuori agli ottavi, ma quella tripletta, oltre che a una stagione da incorniciare, non poteva essere ignorata. E così con ottantaquattro voti finali Belanov arrivò primo nella classifica del Pallone d’oro, davanti al capocannoniere del Mondiale Gary Lineker a quota sessantadue e a Emilio Butragueño terzo a cinquantove.
La gloria e il successo però diede alla testa a quella squadra che iniziò a guardare con ammirazione ai soldi dell’Europa occidentale e nell’estate del 1987 Zavarov e Belanov passarono in Italia. Ma se per il primo il passaggio alla Juventus si concretizzò, senza lasciare un grande ricordo, il Pallone d’Oro non riuscì a passare all’Atalanta per precisa opposizione della Federcalcio sovietica che controllava molto riguardo al destino dei propri calciatori. Il mancato approdo nell’Europa occidentale fu un duro colpo per Igor che iniziò a calare di rendimento, rimanendo comunque un elemento importante della nazionale. Nel 1988 venne convocato per il suo primo Europeo e diede una mano nella conquista del primo posto nel girone iniziale, ma si fece male nella terza partita contro l’Inghilterra e così dovette saltare la semifinale contro l’Italia. Nonostante la sua assenza i suoi compagni riuscirono a vincere per 2-0 e ad andare in finale contro l’Olanda e Belanov strinse i denti e scese in campo, ma la prestazione fu da dimenticare. Gli Oranje segnarono un gol per tempo con grazie ai loro fenomeni Gullit e Van Basten e l’ex Pallone d’oro ebbe la grande opportunità di riaprire la partita ma il suo rigore fu debole e telefonato per un Van Breukelen che parò senza problemi.
Quell’errore dagli undici metri segnò di fatto la fine della sua carriera ad alti livelli che lo avrebbero portato a perdere la nazionale di lì a un anno. Nel 1989 lasciò il suo Paese per andare in Germania al Borussia Mönchengladbach ma i renani fecero l’errore di dargli un signor stipendio e Belanov cadde nel tunnel dell’alcolismo. Una sola stagione totalmente da dimenticare prima di passare al piccolo Eintracht Braunschweig in seconda divisione per due stagioni prima che arrivasse la retrocessione e a trentatré anni si ritrovò a giocare nella Oberliga Nord tedesca. Un finale di carriera molto triste con l’epilogo nella sua Ucraina, questa volta indipendente, dove ritornò prima al Chornomorets e poi al Mariupol dove chiuse la carriera nel 1997.Una carriera strana quella di Belanov, fatta sempre al massimo della velocità e con una vita vissuta a mille allora, ma che nel 1986 lasciò un marchio indelebile nella storia del calcio.