Calcionews24
·4 giugno 2025
Völler e l’amore dei tifosi: «Se tedeschi cantano ‘Ein Rudi Völler’, gli italiani intonano ancora ‘Tedesco Vola!’ Ecco da chi ho imparato la vostra lingua a Roma»

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·4 giugno 2025
Oggi su La Gazzetta dello Sport ad aprire il suo album dei ricordi c’è Rudi Völler. Il “tedesco volante” incarna una figura iconica del calcio mondiale, legando indissolubilmente il suo nome alla Roma sia come bomber implacabile che, seppur brevemente, come guida tecnica. Arrivato nella capitale nel 1987 dal Werder Brema, Völler ha infiammato per cinque stagioni il cuore dei tifosi giallorossi con la sua grinta, il fiuto del gol e un’innata capacità di lottare su ogni pallone. In 198 presenze complessive con la Roma, ha messo a segno 68 reti, contribuendo in maniera decisiva alla conquista della Coppa Italia nella stagione 1990-1991, annata in cui fu anche capocannoniere della Coppa UEFA, trascinando la squadra fino a una sfortunata finale. Il suo legame con la città e i colori romanisti è rimasto talmente forte da riportarlo a Trigoria nell’agosto 2004, questa volta in veste di allenatore. Un’esperienza breve e tumultuosa, durata appena 26 giorni e cinque partite, in un momento di grande difficoltà per il club, ma che testimonia ulteriormente la profondità del suo rapporto con l’ambiente romanista, un affetto sempre ricambiato dalla tifoseria.
DINO VIOLA – «Sembrava una persona dura, era molto diretto. Questo mi piaceva, da tedesco. Da subito ho avuto un rapporto eccezionale ed è stato il motivo per cui sono rimasto 5 anni. Se non fosse stato per lui, sarei tornato indietro dopo una stagione. Il primo anno avevo guai fisici, giocavo male e le critiche erano giuste. Avevo offerte in Bundesliga, ma lui disse: “No, tu rimani qui, vedrai che farai grandi campionati”. Meno male che è andata così, grazie a lui».
IL MONDIALE DEL 1990 – «Abbiamo vinto la coppa all’Olimpico, che per me era casa, ma siamo stati a Roma solo dalla vigilia, il resto del torneo l’abbiamo giocato altrove. Atterriamo, andiamo alla Borghesiana e chi trovo? Viola, il mio presidente, che mi aspettava. Conosceva anche Beckenbauer, ci siamo seduti, abbiamo bevuto un caffè e parlato. Anche lui era molto felice e orgoglioso di vederci in finale, l’Italia era uscita, tifava per noi. Bello. Il giorno dopo ho procurato il rigore della vittoria sull’Argentina».
LIEDHOLM – «Mitico Barone. Persona splendida con tutti, con i vecchi e i giovani. Non alzava mai la voce, si faceva intendere, senza urlare. Io pensavo di trovare Eriksson, avevo parlato con lui in primavera. Ma poi se ne andò. Però con Liedholm sono stato bene, anche se non sono arrivati i risultati».
BONIEK – «Ah, il mio primo compagno di stanza. Ne parliamo ancora, e ridiamo. È stato il mio esempio linguistico: nella storia del calcio, fra tutti gli stranieri venuti in Italia, nessuno parlava bene come lui. Il mio obiettivo era: studiare e parlare come Zibì».
TEMPESTILLI O CONTI – «Scelgo tutti due. Come si fa? Tonino e Bruno? Grandi. Però avevo un buon rapporto anche con Sebino Nela, con Giuseppe Giannini che era molto giovane, ma il Barone lo aveva fatto capitano. Pure con Ciccio Desideri e altri, ci si divertiva».
HA RESO ETERNA LA CANZONE DELLA CUCCARINI – «Non so (ride, ndr.), però quando incontro dei tifosi,in giro, se sono tedeschi parte subito Ein Rudi Voeller, il coro che mi facevano in Germania. Ma se sono italiani, intonano sempre Tedesco Vola».