Acerbi racconta l’Inter della seconda stella: «In quel gruppo mi sentivo parte di qualcosa di grande. Vi svelo il nostro segreto» | OneFootball

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·20 de setembro de 2025

Acerbi racconta l’Inter della seconda stella: «In quel gruppo mi sentivo parte di qualcosa di grande. Vi svelo il nostro segreto»

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Acerbi racconta l’Inter della seconda stella: «In quel gruppo mi sentivo parte di qualcosa di grande. Vi svelo il nostro segreto». Le sue parole

Arrivano altri estratti dall’autobiografia di Francesco Acerbi, pubblicata da Rizzoli e intitolata “Io, guerriero“. Qui il difensore dell’Inter entra dentro lo spirito più profondo che ha caratterizzato la squadra di Inzaghi e l’ha portata a vincere lo scudetto della seconda stella.

IL GRUPPO INTER – «Non è stato tutto facile, – ricorda – abbiamo avuto alti e bassi, come succede sempre. Ma quando un gruppo è vero, non si rompe nei momenti difficili. Si stringe. E noi lo abbiamo fatto. Quando un gruppo tiene, anche i momenti di crisi diventano prove superabili. Giocare al fianco di gente come Barella, Bastoni e Darmian, condividere il reparto con Skriniar e de Vrij, vedere in campo Brozovié, Dzeko, Handanovic, sentire ogni partita come una missione collettiva è stato esaltante. Ci si capiva al volo. Bastava uno sguardo, un gesto con la mano e sapevamo già cosa fare. In campo, era sufficiente uno sguardo per capire dove andava la palla. Non servivano parole. II meccanismo difensivo funzionava perché ci fidavamo l’uno dell’altro».


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IL SALTO DI QUALITÀ – «Quello che ci ha portati a fare il salto di qualità, però, è stato lo spirito. Non c’erano divisioni, non c’erano primi della classe e gregari: tutti facevano tutto. Se serviva correre dieci metri in più, si correva. Se serviva stare zitti e abbassare la testa, lo si faceva. Nello spogliatoio non esistevano ruoli gerarchici: esistevano solo uomini che volevano vincere. In quel campionato, l’Inter ha cominciato a vincere con regolarità, a macinare punti, a segnare con costanza. Ma quello che più mi ha colpito è stata la compattezza. Tutti davano tutto.

I titolari, le riserve, quelli che giocavano venti minuti o novanta. Non c’era spazio per le mezze misure. E il merito va anche a Inzaghi, che ha saputo gestire il gruppo con intelligenza, toccare le corde giuste, anche nei momenti più delicati. Non ha mai alzato la voce, ma quando parlava lo ascoltavi. Perché sapevi che lo faceva per il bene della squadra. Io ho giocato con continuità e ogni presenza era un mattoncino in più nella fiducia reciproca con la squadra e lo staff. Mi sentivo parte di qualcosa di grande, ma anche di solido. Non un fuoco di paglia, non una squadra costruita in fretta. L’Inter era tornata ad avere un’identità forte, e io, con orgoglio, ne facevo parte».

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