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·24 de outubro de 2025
Bosco dello Sport, Penzo e Marc Augé – Un’opinione veneziana

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Nel suo Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernitè l’antropologo francese Marc Augé identifica il concetto di luogo in ogni spazio antitetico alla modernità che assuma in sé caratteristiche identitarie relazionali e storiche, in contrapposizione al nonluogo, che non presenta le caratteristiche di cui sopra.
Quello dello stadio a Venezia è un tema che ancor prima di essere sportivo è politico. La realizzazione dell’impianto di Tessera, di cui già sono state decantate le “magnifiche sorti e progressive”, è stato un obiettivo di tutte le giunte comunali che si sono susseguite negli ultimi 60 anni. Che si tratti di una soluzione all’avanguardia, vantaggiosa sul piano economico nell’immediato è cosa sotto gli occhi di tutti, che nemmeno i detrattori del Bosco dello Sport possono negare. Non ammettere, però, che il Penzo poteva essere oggetto di ammodernamento, al punto di poter rientrare nei limiti Uefa e Fifa è disonestà intellettuale.
Si tratta di un impianto particolarmente sgradevole alla vista, dominata da strutture in tubi innocenti per tre quarti dei settori e con solo una tribuna coperta. Un biglietto da visita per niente incoraggiante per uno stadio che poco può fare per concorrere con quanto di babelico sorgerà tra qualche primavera nella vicina Tessera. Eppure quest’ultimo non rappresenta quanto di ultimo è rimasto di veneziano ai veneziani, intesi tanto come quelli (pochi) che abitano ancora in isola quanto quelli che per cause di forza maggiore hanno dovuto lasciarla. Abbandonare calcisticamente la laguna vorrà dire aggiungere un tassello all’inesorabile declino di una città che, se può essere detta viva, sicuramente non è vissuta.
Diciamoci la verità: il Penzo è scomodo, per arrivarci ci si impiega una mattinata intera quando si gioca alle 15 e gli orari diventano proibitivi nei match serali. Se piove, poi, non ne parliamo, perfino la tribuna coperta fatica a rimanere asciutta, e, come se non bastasse, in inverno il vento gelido dalla laguna abbassa notevolmente le temperature. Perché possa continuare a essere la casa degli arancioneroverdi, investire sul suo ammodernamento è necessario e sarebbe cosa possibile. Naturalmente lavorare solo sulla struttura non basterebbe, visto che sarebbe necessario incidere allo stesso tempo sulla rete dei trasporti pubblici locale (il condizionale è d’obbligo perchè si è ampiamente nella sfera dell’irrealtà). Sostituirlo con 500 appartamenti da destinare ai veneziani sarebbe come curare superficialmente una ferita che al suo interno rimane insanabile, se non si affianca ciò a una seria politica a favore della residenzialità che abbia tra le proprie priorità l’agevolazione ai collegamenti all’interno del tessuto cittadino.
Pura utopia è aspettarsi che il calcio moderno possa continuare ad andare a pari passo di una città che va in giro a piedi, pura utopia pensare che andando avanti mettendo pezze Venezia possa continuare ad essere una città vissuta. Così si dovranno salutare i tragitti di andata tra spritz e cicchetti, i rientri con i tramonti su Piazza San Marco e le barche colorate di arancioneroverde. Forse si penserà con nostalgia ai tempi in qualche tifoso che ci aveva dato troppo dentro con birra e Borghetti era obbligato a bighellonare ondeggiante tra le calli della città, invece di doversi mettere alla guida senza avere il tempo di smaltire lo smaltibile. Chi accoglie con entusiasmo la nascita del Bosco ha le sue buone ragioni per farlo, ma almeno lasciateci godere gli ultimi mesi con lo stadio nella laguna, che perdere sarà una tragedia per tutti.
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