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Zerocinquantuno

·14 de janeiro de 2025

Come accadde che Bologna si attaccò al tram (Parte prima: Il sindaco paracadutato)

Imagem do artigo:Come accadde che Bologna si attaccò al tram (Parte prima: Il sindaco paracadutato)

Parte prima: Il sindaco paracadutato

C’è stato un momento in cui abbiamo rischiato di avere la ‘nostra metropolitana’ anche a Bologna. Giuro, avevamo già i soldini stanziati. Per raccontarvi questa storiella prendo le cose un po’ alla larga e, come mia abitudine, faccio un cammino a ritroso. Un pomeriggio, poi vi spiego come mai, sono seduto a prendere un caffè col candidato sindaco Cofferati. Nella chiacchera, a mo’ di scherzo, mi ricordo di aver buttato lì un:


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«Adesso la facciamo anche più pulita questa città…».

Era un periodo che i marciapiedi erano pieni di cacche di cane. Era montata la moda del compagno a quattro zampe e i cittadini non si erano ancora organizzati per gestire le passeggiate. Successivamente compariranno anche gli aspiracacche pubblici, con tanto di macchinario a spalla dell’operatore. Il mutamento d’espressione del cinese fu impercettibile quanto feroce. Io compresi in quel momento di essere stato squalificato ad aeternum con la secca diagnosi:

«Ecco un altro qualunquista!».

Comunque si venne alle cose serie, e un discorso di qua e uno di là il sindaco in pectore mi mise tra l’altro a parte di un giudizio che così suonava, e cioè che la già bocciata metropolitana «non sarebbe servita ad altri che ai ricchi che abitano sui colli». Interdetto sul senso dell’asserzione, ricordo solo che seguii il mio interlocutore in altre considerazioni. Ma che cosa ci facevo lì col candidato sindaco Sergio Gaetano Cofferati? Il fatto è che cinque anni prima io avevo accolto male l’avvento di Giorgio Guazzaloca. E perché mai? Perché avevo assimilato il ‘civico’ macellaio bolognese al noto ‘imprenditore’ nazionale brianzolo di cui detestavo visceralmente ogni minimo diverticolo culturale (ognuno ha le sue idiosincrasie). Sul Guazza avrei poi avuto tempo di ricredermi, io sono uno lento di convincimento, ma proseguiamo col racconto che ha passaggi divertenti. Dunque, come pubblico esercente, mi incarico di promuovere un incontro preelettorale tra un’assemblea di commercianti e il nuovo candidato della sinistra. Questo arriva su un’automobilina, come si conviene ad un candidato del popolo e accompagnato da un Pokémon che gli fa da autista. Voglio dire un autista segretario, ma che sembra un Pokémon, una di quelle figure enigmatiche inventate dai fumettisti giapponesi che in quel periodo ti potevi aspettare saltasse sempre fuori da non si sa mai dove. L’incontro si tiene in un locale pubblico. Io che ho accettato di farmene promotore, ma che non sono un politico di professione, apro l’assemblea e comincio a dire che ho convocato i presenti per obiettare alla convinzione diffusa che un commerciante debba inevitabilmente votare a destra e adesso che siamo a confronto dibatteremo contenuti che interessano tutti quanti. Ma non faccio in tempo a proferire altre due parole perché il Pokémon che sta rintanato alle spalle di tutti vigilando sul telefonino si alza improvvisamente e dice al suo capo che devono andare, in quanto attesi all’incontro con un’associazione. Facciamo conto che fosse l’associazione dei cagnolini orfani, perché non mi ricordo quale, comunque un’importante associazione della città delle associazioni. L’incontro è aggiornato ad altra data, con frustrazione dei partecipanti ma soprattutto di quelli che volevano denunciare la diceria secondo cui i commercianti sarebbero tutti ‘evasori fiscali’. In seconda convocazione i partecipanti, forse indispettiti dalla vanificazione della prima, sono in numero ridotto alla metà. Non si comincia neanche. Un commerciante animoso non fa in tempo a lamentare in anticipo che la sua categoria è considerata tutta alla stregua di ‘evasori fiscali’, che il Pokémon comunica al suo capo che devono andare all’incontro con l’associazione non so quale, facciamo dei gatti randagi. In terza convocazione, candidato e Pokémon non si presentano neppure. Sento vociferare nei giorni seguenti, ma non presto fede all’illazione, che il candidato sindaco non si sarebbe trattenuto dal procurare un corno con giovincella alla legittima moglie, che questa l’avrebbe conseguentemente incantonato in uno stambugio della casa assegnatagli nei pressi di strada Maggiore e gli avrebbe somministrato una buona dose di botte, per altro sopportate in modo politicamente corretto dallo stesso, che si è limitato a farsi medicare al pronto soccorso. Alla quarta convocazione, esacerbati dai rinvii, non si presenta nessuno, neanche quello che doveva protestare perché i commercianti eran tutti considerati evasori fiscali. Ci sono solo il candidato sindaco e il promotore, che sarei io. È in questa occasione che sono messo a parte del parere sulla bocciatura della metro. Comunque ci mettiamo d’accordo perché io organizzi al candidato una festicciola elettorale nel mio locale, aperto alla partecipazione di tutto il quartiere. Voglio fare bella figura, faccio apparecchiare per bene dalle ragazze, prendo del vino buono, della cristalleria come si deve, preparo delle cose buone. Pian piano dalle strade adiacenti sbuca e si stipa un sacco di gente. Sono persone attempate, mai viste prima. Pensionati delle più diverse categorie che hanno condiviso le lotte sindacali e che adesso approfittano per salutare il leader. Ma questo non si fa vivo. Passa un’ora, ne passano due, esaurisco tutto il buffet e quando tutti se ne sono andati mi metto a lavorare normalmente. È in quel momento che arrivano Cofferati, il Pokémon e un accompagnatore di Bologna: si sono dovuti intrattenere all’associazione dei gatti soriani. Cofferati mi fa:

«Che cos’hanno detto?».

E io: «Hanno detto: “A tachèṅ pròpri pulîd!“».

Cofferati, che è di Cremona e non conosce il dialetto bolognese, fa un cenno al suo accompagnatore che traduce:

«Hanno detto: cominciamo proprio bene!».

Alla festa dell’elezione in piazza, con musica e cantanti, il novello sindaco comiziò che era «felice di fare questo regalo» ai cittadini per ringraziarli e che lui non voleva gregari fedeli bensì collaboratori leali. Cosa intendesse dire non so. Non ho più visto Cofferati. Quando ero in Indipendenza, sostava a distanza con la guardia del corpo. Non è mai entrato nel locale. Ma è della metropolitana che volevo parlare, l’avevo annunciato che l’avrei presa larga. Alla prossima!

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