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·29 de março de 2025

Dallo stadio al sogno Serie A: le strategie in campo societario del Pisa di Corrado

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Sullo sfondo, oltre le case del centro, una vista unica: la celeberrima Piazza dei Miracoli con il Duomo, il Battistero, e la notissima Torre Pendente, vero simbolo della città nel mondo. E’ di qui che Giuseppe Corrado, imprenditore di lungo corso con un lontanissimo passato nella giovanili della Juventus (accanto a un certo Giampiero Gasperini) gestisce dal 2016 il Pisa Sporting Club, società dal passato glorioso che quest’anno è in lizza per una storica promozione in Serie A, da dove manca dalla stagione 1990/91. Corrado, oltre che Presidente esecutivo del Pisa, è dal 2016 anche proprietario del 25% del club toscano, mentre l’altro 75% è in mano al businessman statunitense Alexander Knaster, CEO di Pamplona Capital Management che nel 2021 ha rilevato il 75% del club nerazzurro da Enzo Ricci, ex partner in affari di Corrado.

In questa intervista esclusiva a Calcio e Finanza, il numero uno nerazzurro ha svelato appieno tutte le strategie di crescita, sportive e imprenditoriali, della società attingendo ampiamente dalla sua carriera di uomo di business. Un passato che lo ha visto prima manager di alto livello in Barilla (dove è stato tra l’altro anche amministratore delegato della controllata Tre Marie) e poi in Fininvest (la holding della famiglia Berlusconi che tra le altre controlla Mediaset e un tempo anche il Milan) dove ha lavorato soprattutto come amministratore delegato della controllata Medusa. Prima di essere tra gli artefici, assieme alla 21 Investimenti di Alessandro Benetton, del lancio del colosso The Space, società poi venduta a Vue Entertainment nel 2014.


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Con questa esperienza più che quarantennale nel mondo del business italiano e ormai quasi nove anni nel calcio Corrado ha spiegato l’importanza di rendere autosostenibile un club, delle infrastrutture come base per il futuro e di come lo sfruttamento del brand “Pisa” sia fondamentale per lo sviluppo dei piani del club. Non tralasciando però, avendoli conosciuti da vicino, aneddoti su grandi personaggi del mondo del calcio come l’ex Presidente del Consiglio e patron del Milan Silvio Berlusconi  e l’ex Presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini.

Domanda. Siete in vista di un traguardo storico: il ritorno in Serie A. Quali saranno i piani in caso di promozione?

Risposta. In questo momento noi viviamo la situazione in maniera tranquilla. Il pubblico e i tifosi hanno diritto ad esaltarsi perché fa parte proprio dello spirito del calcio, però quello che importa è come la viviamo noi come società. È un campionato difficile, lo è stato sinora e lo sarà ancora. Nel calcio, abbiamo visto l’Italia che perdeva 3-0 e ha fatto 3-3, il Milan perdere una Coppa dei Campioni dopo essere stato in vantaggio 3-0. Quindi noi in questo momento pensiamo solo a far bene, sappiamo che abbiamo il destino nelle nostre mani. Non dobbiamo rovinare tutto sbagliando atteggiamento oppure pensando di essere vicini a un traguardo che invece è ancora tanto lontano.

D. Quel che è certo è che il Pisa è tornato ad essere ambizioso. Qual è stata il meccanismo che vi ha consentito questo passo?

R. Il calcio è un mondo e un settore industriale importante, tra i primi in Italia, però certe volte è un mondo dove le regole dell’economia sembrano non valere. A volte sento valutazioni positive su manager sportivi che hanno vinto campionati e coppe, ma hanno anche qualche accumulato milioni di perdite per l’azionista. In questo senso sembra un mondo che non è cambiato rispetto agli anni ‘80 quando il calcio era un’attività sportiva del magnate del territorio che per propria passione investiva nella squadra locale.

Ora però il calcio si è trasformato. Le società devono essere pensate come aziende che generano ricavi, che hanno costi e che hanno la necessità di equilibri economici. Ho lavorato nel food, nella pubblicità, nel cinema. Le regole gestionali e aziendali non variano in base al settore merceologico.

D. Cosa si è portato dalle sue esperienze manageriali precedenti?

R. Tutto. Nel calcio, come dicevo, non sembra così ma le regole aziendali valgono eccome. Quindi i primi anni si investe. Se uno arriva in una società vicina al fallimento come era il Pisa, nei inizialmente deve necessariamente investire ma anche lì c’è maniera di equilibrare l’investimento. Si deve investire nelle infrastrutture, nell’assetto societario, nell’organizzazione, nello scouting. Solo così si può pensare che una volta che la fase iniziale è a regime il club possa  autofinanziarsi. Perché altrimenti i soldi finiscono per tutti.

IL PASSAGGIO DA ENZO RICCI AD ALEXANDER KNASTER E IL BRAND PISA

D. E quanto è stato importante in questo senso l’arrivo di un uomo di finanza e dalle grandi possibilità come Knaster? E perché ha scelto il Pisa?

R. Knaster ci contattò nell’estate del 2020, proprio in piena pandemia, attraverso un avvocato. Ci disse di amare il calcio, di essere stato socio del Chelsea e di volere investire in Italia. Dopo aver valutato alcune società, tra cui il Parma, lo Spezia e la Sampdoria aveva pensato al Pisa perché nessuna delle situazioni precedenti lo soddisfaceva e perché era stimolato dal possedere un club non lontano da Forte dei Marmi dove trascorre abitualmente le vacanze.

Quando lo incontrai la prima volta, gli spiegai il nostro programma: io e Ricci eravamo infatti nel Pisa da quattro anni e avevamo avviato un progetto di approccio gestionale e sportivo che stava portando risultati già visibili. Knaster disse che gli sarebbe piaciuto entrare al posto del mio socio di maggioranza Enzo Ricci a patto che io gli garantissi di continuare. L’accordo tra Knaster e Ricci fu trovato in tempo rapidi con soddisfazione reciproca.

Giuseppe Corrado

D. Quali sono le differenze tra Ricci e Knaster?

R. Ricci, che io avevo conosciuto in Tre Marie, non era un appassionato di calcio e quando siamo entrati nel Pisa ha scelto di fare un progetto con me più sotto l’aspetto Aziendale. Però si è affezionato velocemente alla città e insieme abbiamo raggiunto risultati sportivi e operativi che lo hanno gratificato e lo hanno fatto abituare a questo mondo nuovo; non avrebbe mai deciso di lasciare il club se non in mani sicure. Quando si è palesato Knaster che gli dava la garanzia di affiancarmi, anche perché molto provato dal periodo di Covid, ha deciso di vendere la sua quota.

D. E invece Knaster che tipo è?

R. Ha passione per il calcio, competenza, grandi conoscenze e relazioni internazionali e soprattutto ha una visione aziendale allineata ai principi che hanno ispirato il nostro progetto fin dalla partenza. Knaster è molto intraprendente e molto aggressivo a livello di scelte aziendali; appena arrivato ha detto di non essere preoccupato dalla categoria, ma ha detto: “Io scelgo una società che abbia le caratteristiche di gestione adatte per programmare un futuro di crescita sportiva e aziendale sana”.

D. Molti imprenditori americani investono o in club importanti – come Inter o Milan – oppure in città che hanno un brand di loro superiore a quello del club. Per esempio, Como, Verona, Venezia, o anche Parma. Pisa è città nota in tutto il mondo per la sua storia e i suoi capolavori. Quanto è stato importante questo aspetto?

R. Credo almeno al 50%, se non di più. Knaster frequenta Forte dei Marmi da 15 anni e ama moltissimo la Toscana. Non a caso quando lo conobbi mi spiegò che per lui Pisa avrebbe rappresentato in termini di brand e di territorio un grande riferimento di potenzialità per il progetto sportivo. E io, da parte mia, mi trovai in estrema sintonia e gli spiegai quali erano le ragioni per le quali avevo deciso di investire nel Pisa cinque anni prima; in quel momento il valore del brand e la Storia della città erano superiori rispetto al valore del club.

Pisa è un riferimento importante dell’Italia nel Mondo con tante positività da offrire: l’aeroporto principale della Toscana, che è una delle mete turistiche più importanti al mondo per le sue bellezze artistiche e naturali, due tra le università top al mondo (Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant’Anna, ndr) oltre ad un polo ospedaliero e sanitario d’eccellenza. Insomma, abbiamo capito che c’erano valori importanti su cui consolidare le strategie di marketing e commerciali.

D. Calcio e Finanza ha intervistato Mirwan Suwarso, il presidente del Como che ha evidenziato l’attrattiva verso il mercato estero della città lariana. Mi sembra di capire che questo valga anche per voi e per Knaster.

R. Beh, sicuramente Pisa e la sua Torre sono un riferimento per ogni straniero che conosca l’Italia e questo è un valore che ha condizionato, come detto, anche Knaster che poi ha apprezzato il nostro progetto nell’insieme. E per questo ha voluto accelerare sul Centro Sportivo perché con la mentalità internazionale di chi opera nel calcio non si può neanche pensare ad una realtà che non abbia un centro sportivo funzionale e moderno. Il secondo aspetto è stato quello di accelerare e accentuare gli investimenti sui giovani talenti. Mi disse infatti: “Voi state facendo bene però noi dobbiamo avere più coraggio di investire sui talenti”.

D. Quindi intendeva dire di accelerare anche sullo scouting?

R. Per fare un eccellente lavoro sulla scelta dei talenti devi avere una struttura perfetta di scouting. Oggi crediamo che il Pisa abbia una struttura di scouting allineata alle Società migliori delle categorie superiori. Attualmente in società abbiamo quasi una cinquantina di persone che lavorano su tutto il territorio italiano ed internazionale. Naturalmente per fare tutto ciò in questi primi due anni abbiamo investito significativamente con risorse e strutture e nei progetti relativi appunto al centro sportivo e allo stadio.

L’IMPORTANZA DELLO STADIO E I PIANI PER IL FUTURO

D. Ha citato lo stadio. Avete piani per un nuovo impianto?

R. Sì, diciamo subito che sin dal primo giorno l’idea è stata quella di rimanere all’Arena Garibaldi. Il nostro stadio si trova in una posizione importantissima a livello turistico, perché è a 250 metri dalla Torre di Pisa e dal centro del campo si può ammirare la Torre. Li è sempre stata la casa del Pisa e li deve rimanere.

D. A che punto è l’iter necessario?

R. Stiamo definendo gli ultimi aspetti per iniziare una significativa opera di ristrutturazione. Quando arriverà la valutazione definitiva del bene da parte dell’amministrazione comunale la Società potrà decidere di acquisire l’impianto e iniziare i lavori di ristrutturazione. Si potrà fare ciò che hanno fatto l’Atalanta e altre Società, cioè lavorare e continuare a giocare in loco.

Lo stadio Arena Garibaldi-Romeo Anconetani

D. Ha detto che sono necessari investimenti, e da questo punto di vista Knaster è stato di parola. Gli ultimi tre bilanci sono stati in rosso di 15, 21 e 13 milioni e Knaster ha versato intorno agli 85 milioni di euro. Quando secondo lei si potrebbe arrivare al punto di pareggio?

R. La rosa del Pisa vale intorno ai 60 milioni, mentre un anno fa ne valeva 20, quindi i denari sono stati investiti bene. Il primo periodo serve come detto per costruire infrastrutture, organizzazione societaria, scouting e Academy. Poi si inizia a lavorare per l’autofinanziamento attraverso la generazione di ricavi. In questo quadro abbiamo già operato con risultati significativi relativamente ai ricavi generati da sponsors e raccolta pubblicitaria; a livello di serie B il Pisa è una realtà virtuosa in termini di raccolta pubblicitaria e di ricavi da biglietteria.

D. Possiamo dire quindi che l’obiettivo nel medio termine sia quello di una Serie A tranquilla?

R. Gli obiettivi del Pisa sono rappresentati dalla realizzazione dei progetti avviati e dei programmi di lavoro giornalieri. Se sapremo fare questo il risultato sportivo sarà la normale e sicura conseguenza. Non esistono traguardi tranquilli, esistono invece traguardi difficili, avversari agguerriti e necessità di lavorare duro per ottenere quello che si desidera. Noi continueremo a guardare con ambizione al futuro non smettendo di cercare di migliorarci ogni giorno.

D. Si è fatto un’idea del perché molte società italiane hanno problemi economici?

R. Perché la torta è piccola e i commensali sono troppi. E l’obiettivo della gestione equilibrata lascia spazio alla ricerca del risultato sportivo ad ogni costo. Il risultato sportivo non è la panacea e sovente dopo aver vinto, si crolla economicamente. I problemi economici ci sono in tutte le categorie ma cercare il risultato ad ogni costo porta alla catastrofe.

D. Come la vede una Serie A a 18 squadre?

R. Sarei contrario. Vorrebbe dire dare ancora meno spazio alle provinciali e al tessuto delle squadre che vogliono crescere. Poi è evidente che molti presidenti di B sarebbero per le 22 squadre e molti della A ne vorrebbero 16. Fa parte del gioco.

D. Qual è la sua opinione sulle entrate da diritti tv che sembrano in calo nel mondo?

R. I diritti sono un’area importante che insieme come movimento dobbiamo alimentare, ma noi dobbiamo reggere con quello che sappiamo generare all’interno, con il business caratteristico. Un club è un media e una fabbrica di calciatori, quindi devi cercare di essere produttivo nelle tue aree gestionali: ricavi commerciali e ricavi da calciatori. Certamente occorre lavorare come sistema per far crescere i diritti collettivi ma come singola Società cercare di generare ricavi propri senza aspettare sempre i ricavi dei diritti perché così finisci per fare i conti senza l’oste.

LE SIMILITUDINI TRA CALCIO E CINEMA E GLI INSEGNAMENTI DI BERLUSCONI

D. Il Blue Energy Stadium di Udine è diventato un punto di riferimento anche per la classe imprenditoriale locale. Voi volete essere punto di riferimento per gli industriali del territorio?

R. Lo siamo in un modo già significativo. A Pisa il media Pisa Sporting Club è il veicolo commerciale di maggiore impatto mediatico del territorio e porta valore alla società e agli investitori che ci scelgono.

Per darle un esempio a quanto creda al binomio calcio quale volano per l’imprenditoria le svelo un aneddoto su questo punto. Quando Pietro Barilla mi nominò amministratore delegato delle Tre Marie eravamo leader di mercato con 25.000 bar, ma avevamo la necessità di ingrandire il business.

Una delle iniziative che prendemmo fu questa: conoscevo il presidente dell’Inter di allora Ernesto Pellegrini perché gestiva la mensa alle Tre Marie. Lui mi invitava a vedere le partite e notai che la sala hospitality di San Siro era piccolina e gli dissi: “Ma se io qui, tutto a mie spese, scaldo delle pizzette, i croissant, i bomboloni alla crema, per i tuoi ospiti?”. Ovviamente con le insegne Tre Marie ottenevo un ritorno pubblicità per il mio brand. Sotto Natale l’Inter poi iniziò a entrare in campo offrendo un panettone ai giocatori dell’altra squadra. Vedendo che facevamo queste cose per l’Inter, mi telefonarono da Milan per fare lo stesso: loro facevano bella figura e pagavo io, però nel frattempo mi facevo pubblicità. Poi da San Siro la cosa si allargò  a Torino, Napoli, e poi Roma e Lazio.

Sono idee di marketing che abbiamo sviluppato, ma nel calcio non è che sia diverso. Se noi aspettiamo che arrivino i diritti – e i diritti potrebbero anche non risalire –, noi dobbiamo inventarci qualcosa di diverso.

D. Quali altre similitudini con altri settori aziendali intravede?

R. Pensiamo al cinema. Il cinema e il calcio sono abbastanza simili nell’attribuzione delle voci di ricavi: il botteghino, e i diritti e nell’ approccio gestionale si parte da valutazioni non molto dissimili. E per cambiare i risultati è stato necessario, qualche tempo fa, discontinuare nel modo di fare business. Come per il calcio sembrava che le cose potessero essere fatte solo come erano state sempre fatte. Invece ogni cosa può essere modificata e il cambiamento porta , quasi sempre, positività.

D. Scendendo sul campo cosa pensa del vostro giocatore Louis Buffon (figlio di Gianluigi e Alena Seredova) e della sua scelta di giocare per la Repubblica Ceca?

R. Innanzitutto mi lasci dire che è un bravissimo ragazzo, molto istruito e molto semplice. Lui ha il peso del cognome e ha pensato di avere meno pressione in Repubblica Ceca, tanto fino a 21 anni può ancora rientrare nell’Italia. Mi sembra una cosa intelligente. Di questo ho parlato anche con la madre che viene a vedere le partite della Primavera.

D. E invece delle vecchie glorie del Pisa cosa dice?

R. Sono passati di qui calciatori come Simeone e Dunga, ma prima Tardelli e poi anche Bonucci. Bonucci , qualche mese fa l’ho  incontrato al mare e mi ha detto: “Non sei stato di parola, avevi detto che io avrei giocato ancora nel Pisa prima di smettere..”; ma io gli ho risposto: “Quando te lo dissi pensavo  fossi ancora forte…” (ride, ndr).

D. Ha lavorato in vari settori, ma anche nel gruppo Fininvest, c’è un insegnamento che le ha lasciato Silvio Berlusconi?

R. Incontravo Berlusconi ogni 15 giorni al lunedì perché a turno tutti gli amministratori delegati delle varie controllate lo vedevano. Lui era un istrione che ti dava il gas dell’euforia, E senza mai condizionare le decisioni e senza mai entrare molto nel dettaglio. Quello che io ho apprezzato era la sua volontà e il suo piacere di essere sempre aggiornato e la sua capacità di saper motivare le persone e in particolare la rete vendita. Due ore passate con lui e i venditori erano pronti a fare ciò che sembrava impossibile. Non lasciava mai niente al caso.

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