🎥 De Roon a Cronache: "Percassi, Atalanta, Ilicic: vi dico tutto" | OneFootball

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·12 de junho de 2025

🎥 De Roon a Cronache: "Percassi, Atalanta, Ilicic: vi dico tutto"

Imagem do artigo:🎥 De Roon a Cronache: "Percassi, Atalanta, Ilicic: vi dico tutto"

Marten de Roon, pilastro dell'Atalanta, ha rilasciato una lunga intervista a Cronache di Spogliatoio in cui passa in rassegna i momenti più importanti della sua carriera a Bergamo. Dai rapporti nello spogliatoio, la depressione di Ilicic, alla finale di Europa League saltata contro Bayer Leverkusen, ecco le parole del numero 15 olandese.

Sono andato a riprendere un vecchio articolo, perché ormai sono passati dieci anni da quando sei arrivato. Ed è la tua prima intervista, dopo una settimana, in cui dici: “Sono ancora in mezzo al trasloco, la mia famiglia arriverà sabato e solo martedì sono arrivati tutte le mie valigie”. Oggi l’Atalanta è un altro mondo?


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Sì, è cambiata completamente la mia vita. Mi ricordo bene, le prime settimane sono state anche difficili: con la lingua, con il ritiro di tre settimane a Clusone, qua vicino. Mi ricordo che ho chiamato mia moglie a un certo punto e le ho detto: “ma dove sono finito? Posso tornare indietro?”. Invece è andato tutto bene, le valigie sono arrivate e credo che non dobbiamo più prenderle perché stiamo veramente molto bene qua e spero di continuare, almeno ancora un paio di anni.

Anche se comunque il presidente ancora dice che l'obiettivo è la salvezza, quindi comunque quello non è mai cambiato. È giusto partire così, almeno non mettiamo troppo pressione. Credo che questa sia la forza della società e del Presidente, che parte sempre con i piedi per terra, invece di parlare di Scudetti e di Champions. Non si sa mai. Credo che siano cambiate le aspettative, però almeno le tiene un po' giù.

Mi racconti Percassi? Perché lui era calciatore nell'Atalanta, è diventato un imprenditore di successo, ha preso l'Atalanta e l'ha portata a essere come mai era stata. Mi racconti un po' anche il vostro rapporto perché poi immagino che sia un ‘Presidente tifoso’ ma anche un imprenditore e un uomo d'azienda che poi voi riconoscete.

Come dici è un ‘Presidente tifoso’, ogni tanto lo vedo come tifoso perché anche prima e dopo le partite è uno che è strafelice, che si emoziona quando vinciamo, è emozionato quando perdiamo. Lui vive l'Atalanta come un tifoso, come ex calciatore. È un grande imprenditore perché ha fatto crescere qualcosa qua con la famiglia Percassi che oltre al calcio è qualcosa di molto importante per Bergamo. Però noi non lo vediamo tantissimo a Zingonia perché secondo me lavora più nella sua azienda. Ogni settimana, il giorno prima della partita, arriva al campo, dice qualcosa, dà un ‘in bocca al lupo’ e ogni tanto parla quando serve un po' di motivazione in più. Poi lui è il Presidente e credo che sia suo figlio Luca a gestire tutto, che vien ogni giorno insieme a D’Amico. Il Presidente lo vedo più come un tifoso, è uno che carica la squadra. Mentre Luca sta un pochino indietro ma gestisce veramente tutto, parla anche ogni tanto con i giocatori quando c'è qualcosa. La sua porta è sempre aperta. A Zingonia c'è una famiglia: non una scissione tra dirigenza e i giocatori. Quando smetto di giocare gli devo chiedere come fare business, perché lui finito di giocare a fatto crescere la sua azienda, quindi mi saprà consigliare.

Van Dijk ti ha detto qualcosa dopo che li avete eliminati in Europa League nella scorsa stagione?

Prima di tutto si è complimentato per il pubblico, che mi ricordo ha spinto per 95 minuti e mi ha detto che abbiamo un pubblico veramente fantastico. Ma anche con la squadra: già all'andata siamo saliti nel suo box e abbiamo parlato un po'. Lui ha detto che non si aspettava questo gioco, questa mentalità, questa forza di non abbassare ma di fare il nostro gioco. Questo lo ha impressionato tanto, ma anche Klopp ha detto che loro non hanno giocato una grande partita ma che noi abbiamo meritato tanto.

Ci sono altri calciatori o allenatori che ti hanno detto che non si aspettavamo che l'Atalanta fosse questa?

Quasi tutti. I complimenti più belli che ho ricevuto sono quando sono andato in Nazionale e ci sono ragazzi che giocano per il Barcellona, per il Liverpool e dicono la nostra squadra è difficile da sfidare: “Giocate in maniera davvero piacevole. Io preferisco guardare la vostra partita che altre”. C'era Van Gaal appena diventato Ct che mi ha detto che guarda spesso le partite di Gasperini perché gli piace come gioca la squadra, come attacca. Mi ha detto: “Non è il mio stile, però veramente complimenti”. Quando sono tornato dall’Inghilterra non me lo sarei mai aspettato di trovare un mister che ha costruito una squadra che ha giocato per un po' il miglior calcio in Europa.

Tu di fatto hai saltato forse la partita più importante, li hai portati fino a lì e poi hai detto andate da soli. Come ti sei vissuto quando hai sentito tirare nell'altra finale pensiero di ok, non gioco la finale?

Subito, subito. Adesso posso parlare con il sorriso. I primi sei mesi non riuscivo proprio. Ho fatto quello scatto per bloccare la palla e ho sentito subito una fitta che non avevo mai sentito nella mia vita. Sapevo fin da subito che non potevo giocare nemmeno una settimana dopo. Ho iniziato a piangere a bordocampo perché era la partita più importante della mia vita e perché è qualcosa che abbiamo proprio conquistato e meritato di giocare. Io credo che - non mi piace dirlo - soprattutto io mi meritavo di giocare quella finale perché il percorso in Europa League, ma in generale con tutta l'Atalanta, ho fatto tanti sacrifici. Penso ai sacrifici che ho fatto contro il Liverpool, quando la mattina si è infortunato Kolašinac e mi dicono: “Martin giochi braccetto sinistro contro Salah, in bocca al lupo”, e contro Marsiglia dopo dieci minuti si fa male di nuovo Kolašinac e ho giocato ancora difensore. Poi è andato tutto bene, siamo arrivati lì, avevo la sensazione che questa era la mia finale, era la mia ciliegina sulla torta. Abbiamo vinto, quindi la ciliegina c'è sulla torta, però non essendo sulla foto della finale mi sembra sempre ci sia una macchia.

Non la senti al 100% attaccata?

99%? Sì, manca qualcosa lì. So che ho vinto e che è anche merito mio se abbiamo alzato la coppa, però non aver giocato quella finale mi manca.

Un calciatore come si vive quella cosa lì? Tu, ma in generale, secondo te, sapere che magari comunque lavori di fatto dieci anni all’Atalanta e poi dopo tutto quel mazzo che ti sei fatto non giochi una finale: la partita è la più importante. Da calciatore, da atleta soprattutto, mentalmente come te la vivi quella cosa?

Difficile, molto difficile perché i primi giorni ho pianto, ho pianto a casa. Mi ricordo che ero con mia moglie a tavola il giorno dopo e abbiamo pianto lì 15-20 minuti, ma proprio di delusione, di tristezza. È l’obbiettivo di un calciatore giocare una finale europea, io l’ho conquistata ma non potevo esserci. Poi come atleta vivi per queste cose perché speri di arrivare in una finale così. L'abbiamo fatto in Coppa Italia tre volte e non siamo mai riusciti a vincerla. Poi arrivi in una finale ancora più importante non la puoi giocare. Ogni tanto penso che forse avrei preferito di poter giocare e perdere. Alla fine non è proprio così, però questo è il tuo primo pensiero. Come mai non posso giocare questa finale? Questa è la mia finale. Invece è così. Poi c'è l'altra faccia della medaglia che in quei giorni, in quella settimana ho ricevuto messaggi, telefonate, chiamate da tutto il mondo sportivo, ma non solo. Soprattutto dalla città Bergamo ne ho ricevuti tantissimi, un affetto e un'appartenenza che sapevo che c'era, ma non avevo mai visto in quella grandezza, in tanti. Uno dei messaggi più belli era da un amico che ho conosciuto qua, un bergamasco che mi ha detto: “Da quando sei arrivato ho portato di nuovo i miei figli allo stadio e tu li hai fatto innamorare di nuovo dal calcio, di sudare sempre la maglia, di dare tutto in campo. Non è che la finale cambi qualcosa, ma è più questo che lasci a miei figli, a me e a tutta la gente di Bergamo”. Questo mi ha colpito, sono stati giorni molto emozionanti.

Quindi è meglio giocarla e perderla o non giocarla e vincerla?

No, è meglio vincere. Adesso quando arrivo in casa, Mario ci ha regalato a tutti un trofeo come la Coppa. È proprio nel nostro soggiorno, così quando passo lo vedo sempre. ‘Ti ricordi? Sì, ce l'abbiamo fatta. Anch'io ho fatto parte di quella squadra che ha vinto.’

Poi tu ora sei un leader, in realtà lo sei un po' sempre stato, perché fin da quando eri in Olanda ti hanno dato la fascia da capitano e te l'ha dato comunque una persona non banale, un idolo. È vero che Van Basten ti ha anche mandato la sua biografia? Ti ricordi quando ti ha messo la fascia? Comunque immagino che avessi anche un po' di soggezione con lui?

Sì, mi ricordo il mio primo incontro con lui. Era come un bambino che incontra il proprio idolo. Comunque non era il mio idolo, perché lui si è smesso nel 1992-1993 e io sono nato nel 1991, non ho visto tanto di lui, solo i video. Però per mio padre era il miglior giocatore di sempre. Una mi ha detto: “ma vai a incontrare Van Basten, dai!”. Sono andato lì e gli ho detto: “ciao mister Van Basten”. Però è una persone molto normale intelligente. Poi siamo legati perché lui parlava spesso con me di calcio, come lo vediamo allo stesso modo. Lui è uno che imparava ancora lì, non era un allenatore che diceva: “io so tutto, devi fare quello”. Ma invece era più: “Martin, fammi capire come lo vedi in campo”. Non era proprio come altri allenatori. Così ci siamo legati in quei momenti in cui abbiamo parlato tanto di calcio. Poi mi ricordo quando mi ha dato la fascia che mi ha raccontato che ero un leader silenzioso, perché non parlavo tantissimo, avevo 23-24 anni. Però comunque sei un esempio, i ragazzi ti guardano, non molli mai. Poi capisci tatticamente il gioco così riesci sempre a mettere i giocatori nella posizione giusta. Ancora adesso ogni tanto ci sentiamo, ci mandiamo dei messaggi: è una persona molto piacevole.

Ma ti ha messo una dedica sulla biografia che ti ha mandato?

Sì, sul libro mi ha scritto: “Sono molto orgoglioso di te perché non pensavo che potessi arrivare lì. Però adesso mi stai rendendo orgoglioso in Italia, e mi fa grande piacere”.

Tra l'altro a proposito di libri ho visto che tu sei appassionato di gialli. È vero? Raccontami un po' questa passione.

Mi è sempre piaciuto leggere, soprattutto i gialli. Durante la stagione non leggo tanto, ma adesso che è arrivata la vacanza ho già pronti sei gialli da leggere, sono già in valigia perché mi fa proprio rilassare. Io riesco a leggere anche per tre ore di fila. Se una storia è ben scritta mia moglie non mi sente per un paio di giorni.

Ma li scegli in base a qualcosa? Hai magari degli scrittori preferiti?

Sì, ci sono un paio di scrittori. C'è una norvegese che si chiama Josie Atler Olsen che ha scritto un paio di libri che mi piacciono molto, però c'è Baldacci secondo me che scrive molto bene. Di solito i miei, che leggono anche loro tanto, mi danno i consigli. Loro però leggono dall'iPad, io invece preferisco la carta. Devo avere la carta al mare, un pochino bagnata che mi piace un sacco. L'unica cosa che durante la vacanza ogni tanto devo mettere via perché voglio giocare con i figli, però per il resto leggo tantissimo.

Riesci a leggere anche in italiano o preferisci...

Ho provato un giallo in italiano. Disastro! Disastro! Sono troppe parole che non conosco. Questa è una bella storia, già con le mie figlie che arrivano dalla scuola, imparano i dettagli e queste cose. Loro sono più italiani che olandesi, parlano meglio l'italiano che l'olandese. E soprattutto a scuola quando tornano provo anche a rispondere più in italiano perché per loro è molto più facile raccontare. Per esempio la mia più grande adesso ha un telefonino, e nei messaggi mi dice che devo scriverle in italiano perché l'olandese ogni tanto fa fatica a capirlo e soprattutto a scriverlo. Così posso scrivere in olandese, però rispondono sempre in italiano perché è molto più facile per loro.

E questa cosa un po' ti piace?

Mi fa piacere, mi fa piacere. Comunque la lingua olandese siamo in 16 milioni che la parlano, l'italiano è molto più importante. Poi abitiamo qua, probabilmente rimarremo anche a vivere così potranno parlare anche bene l'inglese. 6-7 anni fa li abbiamo trasferiti da una scuola internazionale a una scuola italiana, perché abbiamo pensato che devono imparare la cultura, altrimenti rimarranno sempre come degli stranieri. Adesso loro sono italiani e sanno anche pure un po' di dialetto bergamasco. Per me è bellissimo imparare da loro queste cose, mi fa molto piacere.

Invece in spogliatoio ti è capitato di imparare a livello culturale? Perché mi ricordo questa tua frase che raccontavi, che magari a volte tua moglie ti chiede cosa hai fatto oggi e tu dici sono stato tre ore al campo. Però è difficile far capire a chi non gioca a calcio, a chi non vive lo spogliatoio, cosa significa. Cosa si fa? Cosa si fa in spogliatoio in una squadra?

Niente, si fa niente. Si fa niente è tutto. Sei lì due ore, tre ore, dopo il pranzo ti riposi un po', parli di calcio. Ogni tanto faccio fatica perché mia moglie mi chiede cosa ho fatto. Poi lì ci siamo divertiti un sacco perché non so, fai scherzi, poi noi maschi siamo anche più semplici rispetto alle donne che hanno sempre qualcosa di cui parlare, invece noi facciamo scherzi. Ci basta meno. Però credo che uno spogliatoio sia difficile da raccontare, non puoi proprio raccontare bene cosa si faccia. Però secondo me uno che ha smesso può raccontare meglio cosa vuol dire lo spogliatoio perché gli manca tantissimo. A tutti quelli che mettono gli manca lo spogliatoio, neanche tanto il calcio perché senti a un certo punto che il corpo non ce la fa più. Però lo spogliatoio è dove sei sempre con i compagni, che diventano amici. C'è sempre qualcosa di cui parlare, c'è sempre qualcuno con una storia.

C’è una storia personale di un tuo compagno che ti è rimasta attaccata, perché comunque immagino che poi appunto è una stanza in cui arrivano persone da Sudamerica, Olanda, Italia, Africa?

Ci sono le belle storie e le storie un po' più triste, perché per esempio con Iličić abbiamo vissuto tutta la sua storia. Io mi ricordo bene che lui è sceso una volta in campo, io l'ho seguito e lui lì quasi in lacrime mi ha abbracciato. Poi ci sono anche quelle divertenti, per esempio quest’anno arriva Ciaos con un regalo Mario: una maglia dell Dinamo Zagabria con scritto Pasalic. Pasalic è di Spalato, non vuole nemmeno sentire il nome Zagabria. E queste cose qui sono divertenti, poi ce ne sono altre mille probabilmente che adesso non mi ricordo, però c'è di tutto. Per esempio ci può essere uno che, non so, ha litigato con la compagna e vuole condividere un po' la sua storia, poi uno che è single che ha festeggiato quella sera, c'è proprio di tutto.

E invece da leader, capitano, comunque uomo, maturo, hai magari il rapporto che hai stabilito con un compagno che pensi di aver aiutato, magari anche in base un po' alla tua esperienza umana.

Nel calcio le vere amicizie sono rare. Spesso siamo solo di passaggio: due, tre anni nella stessa squadra e poi si cambia. Per questo credo che sono stato fortunato ad aver vissuto con un gruppo di compagni con cui abbiamo condiviso tanti anni insieme. Penso a Remo, che ormai è andato via, oppure a Jimmie, che è ancora qui con me. Anche con Hans posso dire che siamo diventati amici. Abbiamo un rapporto con Gosens, che sento ancora tantissimo. Questo ti fa crescere come uomo, come calciatore, ma poi alla fine con loro ti diverti anche fuori campo. Soprattutto gli altri ti fanno imparare un'altra cultura, altri pensieri. Loro pensano un po' lo stesso, per quel motivo diventi amico. Poi arriverà, forse, un Retegui che vive il calcio in un'altra maniera, che sta molto più pensando sul suo modo di calciare invece di essere coinvolto con tutta la squadra. Però è un attaccante, deve fare quella cosa. Poi c'è Lookman che arriva, che è un ragazzo abbastanza silenzioso, timido, che fa il suo. Poi c'è stato Grassi, che è uno che scherza sempre, che prova sempre a litigare con qualcuno nello spogliatoio. Ti fa diventare più maturo, ma soprattutto ti fa crescere come uomo. Io sono uno che osservo tantissimo, che mi piace osservare, perché così riesco a dare un consiglio a un ragazzo. Vedo anche se vale la pena dare un consiglio, perché ogni tanto vedi passare ragazzi che dici: “Questo non ha proprio voglia o non vuole ascoltare? Ok, fai il tuo”. Invece per fortuna a Bergamo e all’Atalanta abbiamo sempre trovato un gruppo che è sempre dritto così e vuole sempre migliorare, ascoltare e credo che lì aiuta sempre l'allenatore, che dà sempre l'esempio.

Oggi siamo in un contesto sportivo. Legato ai valori che tu porti in uno spogliatoio, quali sono quelli che porti nel calcio, quei valori che sono importanti da perseverare?

La prima cosa che credo è il rispetto, che in Italia c'è tanto. Per esempio, se fai paragone con l'Olanda, lì c'è molto meno, perché sono ragazzi molto più giovani, il più vecchio è forse di 25 anni, quelli che arrivano non hanno lo stesso rispetto. Qua in Italia per i più vecchi c'è un rispetto, credo anche la cosa fondamentale nello spogliatoio, che per uno che è stato tanti anni lì, per esempio Rafa che ha giocato molto meno l'ultimo anno, quando lui dà un consiglio tutti ascoltano e guardano come si allena. Poi credo che parta anche da lì, se io come leader fossi mollo, o non mi allenassi bene, anche gli altri vanno giù mentalmente, in comportamento e queste cose qui. Invece, credo che se fai l'esempio, poi ogni tanto per forza devi criticare o dire qualcosa, ma sempre nel modo giusto, credo. Io sono uno positivo, preferisco criticare in modo positivo che criticare in modo negativo. Poi c'è probabilmente il mister o un altro compagno ti dice qualcosa in modo diverso. Poi dopo il rispetto, credo che ci sia sempre l'impegno, questa è la cosa più importante. Se noi leader vediamo uno che si impegna meno, lo diciamo subito. Però a me piace adesso, quando hai 28-29 anni sei anche molto concentrato su te stesso. Invece adesso parlo spesso con Palestra, per esempio, che è un ragazzo che ha tante possibilità, potenzialità, queste cose qui. Così provo un po' a sentire dove posso incidere, che devo essere un po' più cattivo, se devo dire qualcosa e questo è uno sviluppo per me stesso, per capire un po' quello che potrò fare nella mia vita, eventualmente, dopo il calcio.

Non hai solamente il calcio come interesse, fai anche gruppo con altri sport, mi raccontavi.

Sì, mi piace molto il tennis. Il mio idolo è proprio Roger Federer. Quando giocava lui, guardavo ogni sua partita, ogni torneo. Poi quando ha smesso, ho smesso un pochino. Adesso con Sinner, che sta facendo bene, senti anche in Italia che si vive molto di più il tennis. Poi per la prima volta in otto anni ho giocato di nuovo. Era un disastro, però mi piace proprio giocare a tennis. Adesso questa vacanza prendo un paio di lezioni, perché ho giocato fino a 12 anni e anche abbastanza bene. A un certo punto mi hanno fatto un po' scegliere tra il calcio e il tennis. Credo di aver fatto la scelta giusta. Però è una passione. Mi piace anche il padel perché è divertente, però riesco a fare poco con gli altri sport. Poi anche lo sci adesso. Vedo i miei bambini sciare, così sono un po' più in montagna. Non mi ha mai fatto impazzire, però al momento, credo che quando smetto, vado un paio di settimane in montagna per provare.

Ti piace anche il ciclismo.

Mi piace soprattutto perché quando c'è un ciclista che fa bene, credo che Van Der Poel sia abbastanza forte. Ti interessa un po' di più, poi sappiamo tutti che puoi giocare il migliore, però Van Der Poel in suo modo è un gran atleta. Io rispetto tanti altri atleti, soprattutto quelli individuali, perché secondo me il mondo è molto più difficile rispetto a essere un calciatore. Perché noi siamo sempre coperti. Se non è il mio giorno, ho dieci compagni che possono giocare bene e possiamo vincere. Se invece Sinner non è in giornata, perde. Se Sofia Goggia non sceglie bene, diventerà decima. Per quello porto tanto rispetto per quelli che fanno sport individuali.

Dopo dieci anni di Gasperini secondo me il ciclismo puoi tranquillamente avere il ritmo per farlo!

Sì, hai ragione. Almeno i polmoni ce li abbiamo. Poi le gambe dobbiamo un po' allenarle. Però mi piacerebbe quando smetto fare un po' di altri sport. Poi qua ci sono le montagne.

Ti cito un messaggio WhatsApp che ci hai mandato dopo l'intervista che facevamo 5 anni fa. Mi aveva molto colpito che ci avevi scritto: “Scrivetemi quando volete, se avete bisogno o piacere. Anche se il giorno della partita o manca poco a una partita, non ci sono problemi, non mi disturbate. Al massimo vi rispondo dopo”. Che secondo me è normale. Però da calciatore spesso si mettono un po' dentro a una teca e si cerca sempre di preservare. Tu invece mi sembra che rompi molto la barriera. Non sei il calciatore che in quanto tale è un'entità intoccabile. Se gli vai a scrivere il messaggio è finita la partita, perdo perché mi sono deconcentrato. C'è un po' magari da rompere il muro tra il tifoso, la persona e il calciatore?

Non so se c'è proprio quel muro, però forse sono pochi che dicono questa cosa. Anche io spesso il giorno della partita non rispondo tantissimo ai messaggi perché voglio ancora dormire. Però quando c'è da rispondere rispondo volentieri. Il mister dice sempre che la partita si prepara già dal lunedì perché inizia a pensare al tuo avversario, come giocare, contro chi giochi. Poi non è che un messaggio ti metta fuori concentrazione. Comunque io un'ora o un'ora e mezza prima della partita chiamo sempre con mia moglie e le bambine per dire: “ciao, in bocca al lupo, ti amo”. Non credo che c'è una grande barriera. Vedo tanti giocatori che sono ancora con il telefonino. È certo che ognuno ha il suo modo di prepararsi. Vedo tanti che hanno la musica fino a un minuto prima di uscire. Io invece la musica la metto un po' nel pullman, poi esco e faccio il mio. Parlo un po' con i compagni: “Hai visto che giochiamo così? Come gioca con l'avversario? Forse è meglio che ci mettiamo così”. Ognuno ha il suo modo, però la barriera che ogni tanto sembra è anche qualcosa dalla gente fuori dal calcio, del tifoso che pensa che ci sia una barriera, che in realtà non c'è. Questo dobbiamo forse ogni tanto rompere. Anche io provo, per esempio con i miei social, anche di rompere ogni tanto così. Non siamo uomini perfetti, giochiamo a calcio, poi dopo siamo sempre a casa a mangiare la pasta e il riso. Anche io esco con le mie bambine, poi vado a bere un bicchiere di vino, anche io esco volentieri per la cena. Non siamo perfetti. E poi spesso magari c'è anche un po' il rapporto tra il calciatore e il media che è un po' sempre un ostacolo.

Ti chiedo cosa in questo momento, secondo te, ha bisogno un calciatore da parte dei media? Cioè cosa si aspetta? Cosa avrebbe piacere che magari gli venisse chiesto il rapporto da questo punto di vista? Perché ormai ci sono i giornali, le televisioni, ci sono i media più sui social, ci sono miliardi di pagine, comunque l'attenzione è tanta.

Allora non perché siete voi adesso con me, però ‘Cronache’ fa tanti fatti, e i fatti secondo me fanno sempre bene, perché almeno leggi le cose come vanno. Poi sai che a me piacciono anche le critiche, le critiche sono intanto giuste, però è il modo in cui metti la critica. Se per esempio uno gioca male, il media può dire che questo ragazzo è stato un disastro oggi e basta. Così tutti leggono e tutti dicono che questo ragazzo è stato un disastro. Poi forse riesce a spiegare un po' meglio che l'allenatore era sul compito in campo, che forse il giocatore aveva qualcosa o c’era un avversario molto forte. Così crei un po' meglio cosa è successo, invece di scrivere ogni tanto o di dire quelle frasi che sembrano un po' ingiuste. Ma ci sono così tanti media che uno dice questo, uno dice quello, è in più ogni tanto quei fatti o la spiegazione che puoi dare. Poi spiega perché qua non è in posizione, qua fuori posizione, qua ho sbagliato forse. Poi ogni tanto lo leggo anche io: “Martin oggi ha giocato male perché il suo avversario, che era Leao, lo ha saltato tre volte”. E poi non giocavo neanche contro Leao, questa cosa lì. Per quel motivo credo che è meglio fare i fatti e ogni tanto dare una spiegazione alla prestazione invece di proprio mettere queste frasi che possono essere un po' la critica.

E invece secondo te il calciatore cosa deve fare oggi? L'atleta in generale, a livello comunicativo? Cioè, ad esempio, chiaramente tu parli per te, però alla fine hai visto magari anche tanti ragazzi che si sono succeduti. Di cosa ha bisogno il calciatore, cosa dovrebbe fare?

A me piacerebbe che anche il calciatore diventi un po' più aperto, che condivida anche forse il suo momento, le sue difficoltà. Spesso nelle interviste vedo anch'io che ci sono i cliché, che si ha giocato male. Oggi, per esempio, non mi sentivo bene, non so, la mia testa. Dare un po' più di apertura ali media, così possono anche capire meglio il calciatore. Neanche sempre tranne i media, puoi anche fare tramite i social, che invece di mettere solo i gol, puoi mettere anche una volta, oggi ho sbagliato, oggi non mi sentivo bene.

Magari c'è un po' paura da parte del calciatore a fare questo?

Sì perché il problema è un po' che sui social ti attaccano subito. C'è gente dietro il computer che fanno tutti commenti che danno un po' di paura. Poi si sentono attaccati, non tutti sono forti dentro, non hanno la mentalità così e perdono la fiducia. Però secondo me lì dobbiamo creare più apertura, più libertà anche forse fra media e calciatori. Magari tanti dicono anche che il calcio è un mondo un po' chiuso, non so se magari non è stimolante dal punto di vista dei contenuti, però non penso che tu sia d'accordo con questo. Magari non è stimolante fino a un certo punto. È un po' chiuso, anche io lo vedo così perché possiamo essere un po' più aperti, però c'è sempre il dubbio in quanto ci dobbiamo aprire. Hanno paura forse se apriamo troppo non va bene o mettiamo i calciatori e i giocatori in difficoltà. Credo che lì dobbiamo trovare un equilibrio, però è molto difficile e per fortuna io nel mio modo provo sempre ad avvicinare un po' i media e i calciatori, e dimostrare che non c'è quella barriera o muro enorme. Tutti siamo persone normali, io sono un calciatore, ma sono un papà, sono un marito, sono un amico e questo dobbiamo capire.

Da una parte il tifoso, l'utente dovrebbe abbassare un po' questa beatificazione del calciatore e dall'altra forse questo permetterebbe magari anche all'atleta di essere un po' più aperto?

Sì, ma sai un esempio? Ogni tanto quando faccio la spesa, uno mi dice: “ah ma proprio tu fai le spesa?”. E dico: “sì, anche io devo mangiare”. È normale che noi facciamo questo. Non dobbiamo mettere tutti i calciatori all’insopra degli altri e dire: “oh sei così fantastico” perché alla fine siamo uguali a tutti.

Infatti in questo ho letto, dimmi se è vero perché l'ho trovato su internet, quando eri in Inghilterra un bambino ti chiese aiuto per un progetto scolastico allo stadio e tu nel giorno libero sei davvero andato ad aiutarlo, è vero?

No, non allo stadio, però lui mi ha scritto una lettera a scuola che lui doveva scrivere al suo idolo e mi ha scritto una lettera bellissima che mi ricordo ancora bene. Io con mia moglie abbiamo detto: “dai andiamo a sorprendere questo ragazzino”, perché secondo me è una bella sorpresa e così mi può conoscere non solo come calciatore ma anche di persona, come uomo. Siamo andati lì e abbiamo passato con lui e i suoi genitori. A me piacerebbe fare più queste cose. Ho visto i video del Liverpool l'anno scorso con Salah e Van Dijk che hanno fatto una sorpresa a un ragazzino, secondo me è indimenticabile per lui ma anche per noi, perché ti dà qualcosa e poi sono piccoli gesti che possiamo fare noi a rendere felice un ragazzino, ma anche tutta la famiglia. Questo possiamo fare un po' di più secondo me, come calciatore mettere proprio dentro non solo l'attività ma dentro la città.

L'ultima cosa che ti chiedo prima di farti due quiz per metterti alla prova, in questi giorni chiaramente avete parlato un po' di vostri compagni, anche il mister, come vedi il tuo futuro, quello dell'Atalanta? Come gestirai magari anche da leader in spogliatoio questa fase di cambiamento?

La vecchia guardia sta scomparendo! Adesso ci siamo Francesco Rossi, Mario e io. Piano piano tutti vanno via e questo significa per prima cosa che sto invecchiando, questa cosa è sicura, e poi che prima o poi arriverà anche il mio momento! Però per fortuna sto ancora molto bene, vedo il futuro ancora pieno di soddisfazione di giocare. Però sì, la generazione, i ragazzi calciatori cambiano e piano piano loro devono prendere il loro posto come giocatori, come leader, come nello spogliatoio. Nel calcio sono sempre stati i cambiamenti, così credo che anche quando noi andremo via ci saranno altri che faranno il loro gioco, le loro avventure e spero di portare ancora l'Atalanta più in alto, che è quasi impossibile. Credo che la società saprà assicurare un futuro roseo.


📸 Marco Luzzani - 2025 Getty Images