De Rossi: “Un orgoglio allenare la Roma, un trauma lasciarla. Ma adesso sono pronto a ripartire” | OneFootball

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·31 de maio de 2025

De Rossi: “Un orgoglio allenare la Roma, un trauma lasciarla. Ma adesso sono pronto a ripartire”

Imagem do artigo:De Rossi: “Un orgoglio allenare la Roma, un trauma lasciarla. Ma adesso sono pronto a ripartire”

Daniele De Rossi, ex allenatore della Roma e bandiera del club, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera parlando del suo esonero e dei progetti futuri che lo attendono. Ecco l’intervista completa:

“Da quando ho smesso di giocare ho viaggiato molto in giro per il mondo e tanti altri posti voglio visitare per lavoro, curiosità e cultura personale. Ma una vista come questa dove la ritrovi? D’altra parte, se la chiamano la Città Eterna ci sarà un motivo, no? A volte è più difficile trovare quello che una squadra da allenare…”


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De Rossi, togliamoci subito il dente: ma che era successo?

”Non deve chiederlo a me. Avevamo impostato un progetto di lungo periodo. Nella mia testa c’era l’idea di crescere insieme a una squadra giovane e alcuni giocatori più esperti con l’obiettivo di lottare per lo scudetto nel 2027, l’anno del centenario. E invece…”.

E invece la sua stagione è durata appena quattro partite e tre punti.

”So che nel calcio senza i risultati il tempo non te lo dà nessuno, ma tutto è stato accantonato davvero troppo presto. Le stagioni ormai cominciano a metà agosto, noi abbiamo fatto il ritiro con 16 ragazzi della Primavera, il mercato aperto e la squadra ancora tutta da costruire. Gli ultimi 4-5 acquisti li ho allenati solo per pochi giorni”.

“Un giorno allenerò la Roma”, aveva sempre detto. È stato più un motivo di gioia guidarla prima del previsto o doverla lasciare all’improvviso?

”Due sensazioni fortissime. Ma voglio tenermi l’onore e la felicità di averla allenata ed esserne stato all’altezza. Averla lasciata così presto, mi lascia la possibilità di riprovarci un giorno. Non lo vivo come un assillo, ma tanti allenatori, ultimo Ranieri, sono tornati nello stesso club più di una volta. Come diceva Califano: non escludo il ritorno”.

Cosa rimprovera ai Friedkin?

”Forse di non avermi parlato prima di prendere una decisione così drastica. E anche io avrei dovuto alzare più spesso il telefono visto il rapporto che avevamo. Ma li continuo a ringraziare perché mi hanno concesso di allenare la squadra del mio cuore. La decisione finale di esonerarmi l’hanno presa loro, ma credo sia stata tanto indirizzata, anche con versioni non rispondenti al vero, da chi oggi non c’è più. E non ha lavorato per il bene della Roma”.

Per diversi mesi la Roma non ha voluto più vederla neanche in tv.

”In quel momento per me era fonte di sofferenza. Se una donna che ami alla follia ti lascia, non riesci a guardarla camminare felice, mano nella mano, con un altro uomo. Ma ormai è passato: sono tornato a vedere la Roma e ad essere contento delle sue vittorie”.

Ha mai pensato: i risultati di Ranieri li avrei raggiunti anche io?

”No, perché nessun tecnico è uguale a un altro. Certamente l’intelligenza, l’esperienza e il pragmatismo di Ranieri sono stati fondamentali in quel momento. Posso solo dire che le mie emozioni vedendo l’Olimpico pieno di bandiere contro il Bilbao in Europa League, non sono state inferiori alle sue. Sarei voluto essere in mezzo a quel mare giallorosso: è stata una delle manifestazioni più belle, nella sua semplicità, che una tifoseria abbia mai messo in scena. Nessuna coreografia artificiale: ognuno con una bandiera mezza giallo e mezza rossa, come quando si era bambini”.

Lei ha ancora un contratto per due anni.

”Si, ma spero di farne presto uno con un altro club. Il contratto non è un vincolo per me”.

Come considera la regola che impedisce a un tecnico esonerato dopo poche partite di poter allenare un’altra squadra in A?

”Sbagliatissima: tutto il mondo ha regole diverse. La mala- burocrazia che spesso ferma il Paese esiste anche nel calcio. Prendere un patentino di allenatore è come scalare l’Everest e una persona “normale” non può farlo se non ha una carriera nel calcio alle spalle: perché? E perché un proprietario non può far guidare la propria squadra a chi vuole lui? Per non parlare degli stadi che non si riescono a costruire”.

Parliamone invece…

”A Roma c’è chi vorrebbe bloccare il progetto dei Friedkin da un miliardo per difendere una mini area abbandonata dove sono cresciuti alcuni alberi. Lo stadio a Tor di Valle saltò anche per salvaguardare una sconosciuta tribunetta storica semi distrutta dove bivaccavano i topi nella sporcizia. Questa per me è follia. Anche il progetto di Lotito sul Flaminio, inutilizzato da anni, incontra difficoltà. Paesi meno ricchi e sviluppati del nostro hanno impianti migliori. Tutto per colpa della burocrazia”.

Cosa ha lasciato lei alla Roma?

”Un gruppo sano, una dedizione al lavoro. E alcune giuste intuizioni”.

Ha lanciato Svilar, fatto prendere Angelino, Soulé, Konè. C’è qualche altra intuizione che le è stato negata?

”Sì, ma capita a tutti i tecnici. Non bisogna ricordare solo quello che ci fa comodo: io avrei puntato sul rilancio di Moise Kean, ma ho anche detto no a Retegui, poi capocannoniere”.

Cosa cerca adesso?

”Un progetto stimolante, una piazza passionale che viva per il calcio e dei dirigenti che abbiano una grande voglia di lavorare con me”.

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