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·05 de junho de 2025

Inter, ecco perchè Fabregas è il primo nome per sostituire Inzaghi: una nuova filosofia per rilanciare i nerazzurri

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Cesc Fabregas è il primo nome per la panchina dell’Inter: ecco come la sua proposta di calcio ha convinto i nerazzurri a scommettere su di lui

Nonostante un ciclo di Simone Inzaghi che ha riportato l’Inter ai vertici italiani e a un passo dal tetto d’Europa, nel mondo del calcio le riflessioni sul futuro e sull’evoluzione tecnico-tattica non si fermano mai. In un’ipotesi affascinante emerge la figura di Cesc Fàbregas come potenziale, rivoluzionario successore sulla panchina nerazzurra. Ma quali motivazioni tattiche e filosofiche potrebbero spingere una dirigenza, anche quella di un club vincente, a considerare un profilo come quello dell’ex fuoriclasse spagnolo, attualmente alla guida del Como?

La risposta risiede principalmente in una potenziale ricerca di un’identità di gioco ancora più orientata al dominio del possesso palla e a una manovra offensiva estremamente palleggiata e tecnica, principi che Fàbregas ha incarnato da giocatore e che sta cercando di infondere nelle sue prime esperienze da allenatore. Simone Inzaghi ha costruito un’Inter formidabile, pragmatica, capace di verticalizzazioni letali e di una solidità difensiva basata sul suo collaudato 3-5-2. Le sue squadre sono macchine da gol che sfruttano splendidamente le corsie esterne e la forza fisica e tecnica dei suoi attaccanti, con una transizione rapida difesa-attacco. Tuttavia, in alcune fasi o contro determinati avversari, la manovra può apparire meno fluida nel palleggio stretto o nella capacità di scardinare difese ultra-chiuse attraverso una ragnatela di passaggi insistita e paziente.


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Qui si inserirebbe la filosofia di Fàbregas. Cresciuto nelle cantere di Barcellona e Arsenal, e poi protagonista con Chelsea, Monaco e la nazionale spagnola, Cesc è stato uno dei massimi interpreti del calcio di posizione e di possesso. La sua visione di calcio, presumibilmente, punterebbe a un controllo quasi ossessivo del pallone, con una costruzione dal basso ancora più elaborata, un baricentro tendenzialmente più alto e una ricerca costante della superiorità numerica a centrocampo. Si potrebbe ipotizzare un passaggio a un 4-3-3 o a un 3-4-3 dove i principi di gioco guarderebbero più al modello “guardiolista” o a quello dell’Arsenal di Wenger, con enfasi sulla tecnica individuale, sui movimenti senza palla degli interni e sulla capacità di creare densità in zona palla per poi liberare rapidamente il lato debole.

Dal punto di vista tattico, ciò implicherebbe una valorizzazione diversa del centrocampo. Se con Inzaghi i quinti sono fondamentali per l’ampiezza e le mezzali hanno compiti di inserimento e copertura, con Fàbregas il cuore del gioco batterebbe ancora di più nei piedi dei centrocampisti centrali, chiamati a un fraseggio continuo e a dettare i tempi con maggiore autorità. Giocatori come Hakan Çalhanoğlu potrebbero essere ulteriormente esaltati in un ruolo da regista puro, mentre profili come Nicolò Barella o Henrikh Mkhitaryan (o loro eventuali successori) dovrebbero adattarsi a un gioco di posizione più codificato, con meno libertà di sganciamento verticale immediato e più partecipazione alla manovra corale.

Un’altra motivazione potrebbe essere la volontà di sviluppare un “marchio di fabbrica” calcistico ancora più riconoscibile a livello internazionale, associato a un’estetica di gioco specifica. L’Inter di Inzaghi è stata efficace, ma l’idea di un calcio “spettacolo” basato sul possesso palla ha sempre un grande fascino e potrebbe essere vista come un ulteriore step evolutivo per il brand Inter.

Certo, la scelta di Fàbregas rappresenterebbe un azzardo enorme. La sua esperienza da allenatore è ancora limitata, soprattutto a livelli così alti, e sostituire un tecnico come Inzaghi con una scommessa sarebbe una decisione coraggiosa. Tuttavia, la storia del calcio è ricca di scommesse vinte basate su una visione chiara e sulla fiducia in principi di gioco innovativi. L’Inter che pensa a Fàbregas sarebbe un’Inter che non si accontenta dei risultati presenti, ma che sogna un futuro calcistico con un’impronta stilistica ancora diversa, forse più radicale, figlia della scuola di pensiero di uno dei centrocampisti più intelligenti della sua generazione. Un sogno, forse, ma con radici tattiche e filosofiche ben precise.

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