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·20 de outubro de 2025

Intervista ad Alex Muzio, presidente dell’Union Saint-Gilloise: «Nessuna paura dell’Inter. Ma c’è troppo disequilibrio tra i club: il calcio europeo va riformato»

Imagem do artigo:Intervista ad Alex Muzio, presidente dell’Union Saint-Gilloise: «Nessuna paura dell’Inter. Ma c’è troppo disequilibrio tra i club: il calcio europeo va riformato»

Intervista a cura di Jacopo Carmassi, Principal Economist presso la Banca Centrale Europea. L’intervista è stata condotta su base esclusivamente personale e non coinvolge in alcun modo la Banca Centrale Europea né altri enti ai quali l’autore è affiliato.

Alex Muzio è il Presidente del Club di calcio belga Royale Union Saint-Gilloise, fondato nel 1897 a Saint-Gilles, un comune dell’area di Bruxelles. Dopo aver acquisito il controllo del Club nel 2018 insieme con Tony Bloom – Presidente e azionista di maggioranza del Brighton & Hove Albion, che milita nella Premier League inglese – dal luglio 2023 Muzio è azionista di maggioranza del Club (con il 75%). Da aprile 2024 è anche il Presidente della Union of European Clubs (UEC), l’associazione che si propone di rappresentare gli interessi dei Club di calcio non di élite in Europa. In questa intervista rilasciata a Calcio e Finanza prima della partita dell’Union Saint-Gillloise con l’Inter, valida per la terza giornata della UEFA Champions League, Alex Muzio ha condiviso le sue opinioni sul ruolo della UEC e su alcuni argomenti chiave per la governance e per l’ecosistema finanziario del calcio in Europa.


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Domanda. La Royale Union Saint-Gilloise affronterà l’Inter nella terza giornata della UEFA Champions League. Un’altra grande notte, dopo il debutto vincente in Champions League a settembre ad Eindhoven e dopo il trionfo nel campionato belga nella passata stagione, per la prima volta dopo 90 anni. Senza dimenticare che l’USG è stata promossa nuovamente nella massima serie nel 2021, dopo 48 anni, che ha conquistato la Coppa di Belgio nel 2024 per la prima volta dopo 110 anni, e che ha anche vinto la Supercoppa del Belgio per la prima volta nel 2024. Si può dire che lei sia specializzato in miracoli calcistici?

Risposta. Sì, direi di sì… [sorride, ndr], ma non so quale potrebbe essere il prossimo miracolo, perché non credo che sia probabile che vinceremo la Champions League presto. Tuttavia, continueremo comunque a cercare di fare il meglio possibile, continueremo a spingere. Se un Club di calcio prova a rimanere fermo, è un problema. Devi sempre provare ad andare avanti, perché tutti gli altri faranno lo stesso – rimanere fermi non è un’opzione.

D. Tornando alla partita di Champions League, ma da una prospettiva finanziaria: se le ricordo che c’è una differenza di circa 500 milioni di euro nella dimensione di Inter e USG, guardando ai ricavi totali, qual è il suo primo pensiero di fronte a questo tipo di divario finanziario?

R. Senza dubbio l’entusiasmo è il primo pensiero, perché ci siamo guadagnati la possibilità di giocare con Club che hanno budget elevatissimi, e con i finalisti della Champions League. Non ci sentiamo eccessivamente sicuri di noi, ma certamente non siamo intimiditi o impauriti. Non ci sentiamo fuori posto, sentiamo che abbiamo il diritto di giocarcela, e giochiamo in casa. Anche il PSV aveva un budget significativamente più alto del nostro [l’USG ha vinto 3-1 ad Eindhoven nella prima giornata di Champions League a settembre, ndr]. E non giocheremo nella Champions League con nessun Club con un budget inferiore al nostro, ma neppure con Club il cui budget non sia tre o quattro volte il nostro budget. Tutte le altre squadre hanno un budget significativamente più elevato del nostro, e l’Inter non è neanche quella con il budget maggiore tra le squadre che affronteremo, dato che giocheremo anche contro il Bayern Monaco. Insomma, ho grande entusiasmo, questa è la sensazione principale.

Il nuovo formato della Champions League e il ruolo dell’UEC

D. Che cosa pensa del nuovo formato delle competizioni UEFA per Club, basato sul modello svizzero, con un gruppo di 36 squadre ciascuna delle quali gioca 8 partite (6 per la Conference League)? Si tratta di un formato che porta benefici per l’USG?

R. Penso che per le squadre della fascia 4 sia positivo, in termini di possibilità di passaggio del turno, poter giocare contro altre due squadre della fascia 4 [le 36 squadre sono suddivise in quattro fasce, sulla base del coefficiente UEFA dei Club che tiene conto delle ultime cinque stagioni; in Champions League e in Europa League, ciascuna squadra gioca contro due squadre di ciascuna fascia, ndr]. Questo è il grande cambiamento per un Club di fascia 4. Nel sistema precedente, che prevedeva gruppi di quattro squadre, i Club di fascia 4 giocavano solo contro squadre di fascia 1, 2 e 3. Adesso abbiamo più possibilità, in teoria. Il Newcastle è una delle squadre più forti del torneo, e quindi siamo stati un po’ sfortunati con il sorteggio, perché abbiamo dovuto affrontare un Club che, nonostante budget e qualità elevate, non ha giocato molto nelle competizioni europee di recente – ma questa è un’eccezione, non è usuale. Di solito, il nuovo sistema dovrebbe offrirci maggiori probabilità di successo, e questo ci dà la carica. Mi piace che giochiamo con otto squadre diverse, invece che con tre, e in generale sono molto contento del cambio di formato: ha introdotto molti elementi positivi senza troppi aspetti negativi.

D. Lei non soltanto è Presidente e azionista di maggioranza dell’USG, ma ricopre anche il ruolo di Presidente dell’Union of European Clubs (UEC) dall’aprile 2024. La UEC ha come obiettivo quello di rappresentare gli interessi dei piccoli e medi Club di calcio in Europa: condivide questa definizione della UEC?

R. Sì, direi di sì, perché noi ci consideriamo un contrappeso all’EFC (European Football Clubs), come si chiama ora [fino al rebranding nell’ottobre 2025, si chiamava European Club Association o ECA, ndr]. Storicamente l’ECA si è pubblicamente presentata come un’associazione solo per i Club di élite. Di recente, un Club che ha fatto il suo ingresso nel Board dell’ECA ha espresso grande felicità e orgoglio per essere entrato nel Board, considerando l’ECA il gruppo che rappresenta gli interessi dei Club di élite – e questo è successo solo pochi mesi fa. Perciò è chiaro che, anche se l’EFC sulla scena pubblica ha cambiato approccio e dice di rappresentare tutti i Club, la realtà dei meccanismi di voto del Board, e perfino dei meccanismi per la scelta del Presidente, è molto determinata dai Club di élite. Ed è molto difficile ottenere trasparenza sui loro voti e su come funzionano i loro processi, ma è piuttosto trasparente che sono i Club di élite ad avere il controllo e il potere, e lo esercitano. Pretendono di avere la vanità di rappresentare tutti i Club organizzando feste sfarzose, invitando personaggi famosi e, in generale, dando ai CEO dei Club piccoli e medi la sensazione di essere coinvolti – ma senza alcuna pluralità nei meccanismi di voto e senza alcun diritto di poter cambiare alcunché. Quindi, come dicevo, noi ci sentiamo un contrappeso a quell’associazione di Club – e questo per definizione ci porta ai Club piccoli e medi.

D. La sua vita quotidiana con l’USG è certamente tanto piena ed impegnativa quanto di successo. E il suo ruolo aggiuntivo all’UEC certamente porta a sommare ulteriore lavoro e ulteriore stress – anche tenendo conto che lei ha costruito l’associazione dalle fondamenta, insieme con altre figure chiave della UEC.  Perciò la domanda è: perché si è imbarcato in questa missione?

R. La prima cosa da dire è che, anche se sono naturalmente impegnato con l’Union Saint-Gilloise, ho conferito poteri a Philippe Bormans, il CEO, e Chris O’Loughlin, il direttore sportivo, per la gestione quotidiana del Club. Ritengo che sia molto importante, per un proprietario e per un Presidente, essere molto chiaro con tutti i componenti della struttura su chi ha il controllo dell’operatività quotidiana, e stabilire limiti e confini chiari. Perché altrimenti, in molte società rischia di capitare che qualcuno si senta dare un’indicazione da un capo, e poi incontri alla fine del corridoio il Presidente, che dice invece qualcosa di diverso – e a quel punto a chi dai retta? Questo genera confusione. Insomma, se è vero che sono impegnato, non sono strettamente coinvolto nelle funzioni quotidiane del Club, e questo mi concede maggiore flessibilità e più tempo.

Io credo che il calcio sia molto prezioso, e che non sia un business come un altro. In altre attività non si trovano la passione e l’amore che la gente ha per la propria squadra. A volte bisogna difendere quello in cui si crede. E io senza dubbio credo che nel calcio si stia creando un divario e che il sistema sia guidato in larga misura dai Club di élite, in termini di giocatori, in termini di finanze. Molto tempo è ormai andato e non tornerà indietro, ma possiamo frenare per rallentare questo andamento e renderlo meno marcato. In ultima analisi, se sei un tifoso di calcio in Bulgaria, per esempio, il Ludogorets ha vinto a questo punto 14 campionati di fila: non si dovrebbe essere nella condizione di sperare che la propria squadra arrivi seconda, bisognerebbe poter nutrire ambizioni per il proprio Club che siano realistiche. E più passa il tempo, più sta diventando progressivamente meno realistico che i tifosi di una squadra abbiano dei veri sogni che possano essere realizzati, e questa è una cosa molto brutta.

Ultimo punto: siamo a ottobre 2025, e se si provasse a prevedere chi raggiungerà i quarti di finale della Champions League nella stagione 2026/2027, si indovinerebbero probabilmente sei o sette squadre su otto – e potendo indicare dodici squadre se ne indovinerebbero probabilmente otto su otto. Se ci fossimo posti la stessa domanda anche solo 10 anni fa, rispondere non sarebbe stato neanche lontanamente facile come lo è oggi; e 20 anni fa la risposta sarebbe stata “non so neanche chi si qualificherà”. Dunque, la velocità del cambiamento è veramente drammatica, e serve qualche contrappeso prima che il sistema si rompa.

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(Photo by Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

D. E quali sono, a suo avviso, le principali cause di questo trend che sta descrivendo?

R. Per le federazioni nazionali dal 15mo posto in giù della graduatoria UEFA, la situazione è alimentata dal declino dei diritti TV a livello nazionale, dalla crescita dei diritti TV UEFA, dalla distribuzione delle risorse e dei contributi di solidarietà. Per esempio, all’inizio della stagione in Serbia, sulla base di varie previsioni statistiche, ci si aspettava che la Stella Rossa Belgrado si qualificasse per la Champions League, e che nessun altro Club serbo si qualificasse per la fase a girone. Questo avrebbe significato che la Stella Rossa Belgrado avrebbe ottenuto circa 40 milioni di euro di diritti TV, considerando sia i diritti in Serbia che quelli della UEFA, e ciò che viene dopo sono solamente i contributi di solidarietà, perché non c’è un pacchetto nazionale di diritti TV particolarmente degno di nota in Serbia. Il grafico che mostra la relazione tra soldi spesi e punti conquistati è ormai consolidato: se ricevi 40 milioni di euro in una stagione e il tuo rivale, il secondo miglior Club, riceve 1 milione di euro, è chiaro che questo produce effettivi distorsivi drammatici sul campionato. E se si obietta che le federazioni nazionali dal 25mo/30mo posto in giù del ranking UEFA non sono di fatto rappresentate nella Champions League: se partecipi all’Europa League o alla Conference League e competi in uno di quei campionati nazionali, riceverai 10 milioni di euro, o 7 milioni di euro, e le squadre rivali riceveranno zero. Considerato il livello dei budget in questi paesi, con una sola partecipazione alla fase a girone dell’Europa League un Club potrebbe finanziarsi un budget che gli consenta di essere per numerosi anni il più grande Club nel suo paese.

Oltre a questo, ho la sensazione che ci sia un elemento di natura più sociale. Anche se questo non è il mio campo perché sono principalmente un uomo di calcio, se si guarda a qualsiasi settore di attività le aziende più grandi sembrano capaci di diventare sempre più grandi – si pensi per esempio ai vari Google, Amazon, Apple. Non vedi più le piccole aziende, tutto ha subito un’accelerazione in questa direzione, e la globalizzazione è un fattore. La UEC non ritiene necessariamente che tutti pensino le stesse cose che pensiamo noi. Ma la ragione per la quale la Superlega ha potuto anche solo essere sul tavolo è che le attenzioni per i grandi Club e la loro attrattività sono di gran lunga maggiori che per tutte le altre squadre: sono i grandi Club a guidare gli ascolti e le risorse delle competizioni UEFA. Penso che chiunque faccia finta che non sia così non sia onesto.

D. Potrebbe per favore approfondire il tema della concentrazione dell’interesse sui grandi Club?

R. Il grande cambiamento è che chiaramente i diritti TV hanno oggi un ruolo enorme per i ricavi dei Club, e in aggiunta i social media consentono di promuovere i prodotti in una maniera che trenta anni fa non era possibile, e tutto questo ha causato un’accelerazione delle risorse finanziarie verso i Club più grandi, perché quelle sono le squadre a cui le persone vogliono essere associate. Prima invece c’era uno spirito di solidarietà, e la consapevolezza che nello sport non funziona come in altri settori. Sarebbe veramente bello se, nel calcio in generale, i Club si rendessero conto un po’ di più che hanno bisogno l’uno dell’altro, che esistono gli uni con gli altri. Non ha senso essere la migliore squadra in un paese con un margine enorme sulle altre. Non è una cosa buona. La gente sembra pensare che questa sarebbe una cosa buona, e che vincere sempre sarebbe fantastico – ma io non credo che lo sia. So bene che ci sono molti tifosi di squadre di calcio che la vedono in questo modo, e sono liberi di farlo. E non voglio dire che sia una questione di essere una cosa buona oppure una cosa tremenda, una cosa giusta o una cosa sbagliata – non è così. Ma la mia visione del calcio è molto più focalizzata su una solidarietà competitiva: se i Club sono gestiti bene, ognuno può avere una possibilità – ma non credo che la realtà sia questa ed è un peccato.

Nel calcio, al centro ci dovrebbero essere la comunità, l’equilibrio e la possibilità per tutti di avere chances di vittoria. Non sono un comunista che vuole che tutti vincano ogni tanto. Ma lo spirito di solidarietà e lo spirito di competizione si sono un po’ prosciugati. Pensiamo alla NFL negli Stati Uniti,  alla Indian Premier League (IPL) di cricket, e anche in misura minore ma comunque significativa alla Premier League in Inghilterra: tutte queste tre organizzazioni hanno compreso il valore di sostenere la competizione. Nel lungo termine non puoi avere un prodotto se una squadra è di gran lunga superiore a tutte le altre, ma neanche se ci sono due o tre squadre che sono di gran lunga superiori a tutte le altre, e se sai chi vincerà già all’inizio della stagione. Ma nella NFL, per esempio, a inizio stagione non puoi dire chi vincerà. Nella IPL, quando la stagione comincia, tutte le squadre hanno buone possibilità di vittoria. E la Premier League è ben consapevole di tutto questo.

Per molti anni il Paris Saint-Germain ha creduto di essere la locomotiva che avrebbe guidato il resto della Ligue 1. E come è andata a finire? Che sono passati dalla previsione di un pacchetto di diritti TV di 1 miliardo di euro ad una cifra probabilmente intorno ai 180 milioni di euro per il primo anno – e semplicemente un caos generalizzato, perché la gente non ha più interesse per il prodotto Ligue 1, perché non ci sono storie da apprezzare, perché di fatto le persone sanno già qual è la squadra più forte, e anche quali sono le squadre subito sotto. Il sistema è stato segmentato in una maniera tale che non risulta più interessante. E penso che questo sia ciò che i grandi Club devono realizzare, che nel lungo termine se questo continua a succedere le persone perderanno interesse in una certa misura – e quando questo accadrà, sarà troppo tardi.

D. C’è qualche altro aspetto specifico che la preoccupa?

R. Vorrei evidenziare la doppiezza dei grandi Club dei campionati al di fuori delle Big Four – non si può più parlare di Big Five, perché con la questione dei diritti TV la Ligue 1 non può più considerarsi parte delle Top Leagues.  Fuori dalle Big Four, è piuttosto chiaro che i diritti TV UEFA che ricevono i grandi Club degli altri campionati non corrispondono al valore che questi Club aggiungono alle competizioni europee. Questi Club fanno pressioni con prepotenza a livello nazionale sostenendo che meritano di più, ma quando si tratta delle competizioni UEFA cambiano faccia completamente, con una modifica a 180 gradi, e sembrano ignorare la realtà delle competizioni UEFA: perché si rendono conto che non sono loro a generare ricavi di 5 miliardi di diritti TV – sono piuttosto partite come Liverpool – Real Madrid, o Paris Saint-Germain – Barcellona. E quindi quei Club sono largamente soprapagati, perché ricevono dalla UEFA molti più soldi di quelli che generano con i numeri degli ascolti delle loro partite.

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