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·09 de novembro de 2025
Juve Toro, le squadre si annullano in un derby intenso ma senza vincitori: lo 0-0 era scritto nel destino della Mole. I numeri della sfida

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·09 de novembro de 2025

Certe partite nascono già segnate, non nel risultato ma nella struttura. Juventus-Torino 0-0 è una di quelle: due squadre che si rispettano più di quanto si temano, entrambe concentrate a non scoprirsi, e che fin dall’inizio hanno dato la sensazione di un equilibrio troppo rigido per essere spezzato. Spalletti e Baroni hanno costruito due blocchi solidi, ma incapaci di farsi male, in una partita dove l’idea di vincere è sembrata quasi un rischio da evitare.
La Juventus si è sistemata con un 3-4-3 in cui Koopmeiners e Locatelli hanno provato invano a dare geometrie centrali, ma senza mai trovare spazi tra le linee. Il Torino ha risposto col solito 3-5-2, corto, ordinato, e tremendamente disciplinato.Il dato chiave? Il baricentro medio: 46,4 metri per la Juventus, 44,8 per il Torino. Tradotto: due squadre praticamente sovrapposte, nessuna capace di spingere l’altra indietro. Persino la “supremazia territoriale” — il tempo passato nella metà campo avversaria — è identica, con un 50,1% a 49,9%. Una fotografia perfetta del nulla tattico reciproco.
Né la Juve né il Toro hanno davvero cercato di cambiare ritmo. La squadra di Spalletti ha tenuto di più il pallone (55% di possesso), ma lo ha fatto con una circolazione sterile: 867 passaggi complessivi, 94,9% di precisione, ma solo 33 palloni giocati in zona area. La palla girava, sì, ma senza mai penetrare.Il Torino, dal canto suo, ha rinunciato a costruire, preferendo un possesso più prudente e diretto (423 passaggi, ma con il 96,1% di riuscita nella propria metà campo). La profondità non è mai arrivata: Zapata, Simeone e Ngonge si sono trovati costantemente isolati, con pochissime palle pulite da attaccare.
Sedici tiri per la Juventus, sei per il Torino. Eppure, la somma delle vere occasioni da rete è desolante: 4 per i bianconeri, 2 per i granata. La “pericolosità complessiva” segna 22 per la Juve, 14 per il Toro, valori bassissimi per una partita durata quasi cento minuti.Anche le percentuali d’attacco alla porta sono impietose: 25,9% per la Juventus, 24,7% per il Torino. È un derby senza picchi emotivi, in cui persino i calci piazzati — tradizionale arma delle sfide così bloccate — non hanno mai realmente inciso (0 tiri diretti su punizione, e solo un paio di mischie degne di nota).
La diretta lo conferma: il primo tempo è un lungo esercizio di pazienza, con Di Gregorio e Paleari spettatori quasi pagati per guardare. Yildiz prova a vivacizzare con qualche iniziativa personale, Vlahovic ci mette fisico ma poca lucidità, mentre il Torino si affida a qualche spunto di Vlasic e al lavoro sporco di Simeone.Nel secondo tempo il copione non cambia: i cambi di Spalletti (David, Zhegrova, Openda) aumentano il volume ma non la qualità, e anche l’ingresso di Asllani e Adams non cambia l’inerzia. Paleari fa una parata vera su Locatelli, Di Gregorio una su Casadei: il resto è gestione, contrasti e un inevitabile senso di déjà vu.
La sensazione più netta è che entrambe le squadre fossero più preoccupate di non perderla che desiderose di vincerla. Spalletti ha voluto controllo e ordine dopo le ultime partite altalenanti, Baroni ha difeso con lucidità e sacrificio, accettando la parità come punto di forza.E in un calcio dove le letture tattiche ormai si equivalgono, la differenza la fa la qualità del singolo. Ma oggi nessuno l’ha accesa: né Vlahovic, mai servito in profondità, né Simeone, tagliato fuori dal contesto. È mancato il “colpo”, il rischio, la follia che a volte rompe l’equilibrio.
Alla fine, Juventus-Torino è stato il ritratto perfetto di ciò che le due squadre sono oggi: solide, organizzate, ma prevedibili. La Juve ha una struttura tattica già chiara ma priva di scintilla offensiva; il Toro è un collettivo granitico che però fatica tremendamente a ribaltare il campo.Lo 0-0, insomma, non è un pareggio casuale. È la conseguenza logica di due idee che si sono annullate, di due squadre che hanno preferito non sbagliare piuttosto che provare a vincere. E in fondo, come spesso accade nei derby, è stata la paura — più che il coraggio — a decidere tutto.
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