Mkhitaryan: «L’addio di Inzaghi ci ha un po’ disturbato. Ma io posso solo ringraziarlo» | OneFootball

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·12 de outubro de 2025

Mkhitaryan: «L’addio di Inzaghi ci ha un po’ disturbato. Ma io posso solo ringraziarlo»

Imagem do artigo:Mkhitaryan: «L’addio di Inzaghi ci ha un po’ disturbato. Ma io posso solo ringraziarlo»

Mkhitaryan: «L’addio di Inzaghi ci ha un po’ disturbato. Ma io posso solo ringraziarlo». Le dichiarazioni del centrocampista armeno

Un viaggio lungo una vita, dall’Armenia a Milano, sulle orme di un padre e guidato da alcuni dei più grandi maestri del calcio mondiale. Henrikh Mkhitaryan si racconta, e lo fa davanti a una platea di giovani tifosi, svelando i retroscena, le gioie e i dolori di una carriera straordinaria in un momento di sosta del campionato di Serie A.

Le Origini: «Giocavo per mio padre»

Tutto parte da una figura, quella paterna, che ha segnato il suo destino. «Ero attaccante come lui, ho cominciato a giocare per mio padre e volevo imitarlo. Se non mi portava lui ad allenarmi mi mettevo a piangere. Poi mio padre se n’è andato per sempre e nel calcio, specie negli allenatori, ho anche ricercato una figura paterna».


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I grandi maestri

Da Lucescu a Klopp, da Tuchel a Mourinho, ogni allenatore ha lasciato un segno. Il primo «Mi ha voluto allo Shakhtar, tre anni bellissimi, abitavo nel centro sportivo e ogni tanto mi spronava ad andare a divertirmi. Mi aiutava e dava consigli. Ci sentiamo ancora». Il secondo «Aveva una soluzione a tutto, sempre disponibile, ti ascoltava su qualsiasi argomento. A Dortmund ho attraversato un momento difficile, mi ha aiutato tantissimo. Mi deve ancora 50 euro per una scommessa dopo aver segnato due gol…». «Volevo andarmene via, Tuchel mi ha parlato, mi ha detto farai 15 gol e 15 assist nel ruolo in cui ti vedo. Aveva ragione lui. Mi ha ridato felicità per il calcio». Lo United?«Opportunità che arriva una volta nella vita. Ho detto sì. All’inizio rapporto non facile, ma mi ha fatto crescere come uomo. Mi voleva mettere in difficoltà per vedere se riuscivo ad uscirne. Io non ho mai mollato. Alla fine mi ha spiegato com’è il mondo del calcio. Gli sono grato. L’ho ritrovato alla Roma e li ci siamo capiti in tutto e per tutto».

Una vita in Italia

L’arrivo a Roma, rocambolesco, e il legame speciale con l’Italia. «Era il 2019, ad agosto Raiola mi chiede: cosa scegli Milan o Roma? In giallorosso avrei avuto più spazio e ho detto Roma. Si giocava Arsenal-Tottenham, poche ore prima Mino mi chiama e mi dice: ‘Finita la partita prendi l’aereo e vieni a Roma che firmiamo il contratto’. A Roma il tifo è una cosa pazzesca. Tre anni bellissimi, ho ritrovato là il piacere di giocare a calcio. Più romano o milanese? Mi sento italiano. Mio figlio è nato a Roma, mia figlia a Milano».

Il passaggio all’Inter, un momento delicato. «La Roma fu poco chiara, l’Inter mi accordò due anni di contratto. Forse Mou non sapeva nulla e quando lo scoprì si arrabbiò tantissimo con la società, venne da me chiedendomi cosa volevo, ma spiegai al mister che ormai era troppo tardi».

E il rapporto con Simone Inzaghi. «Sono stati tre anni bellissimi. Mi ha dato una seconda giovinezza perché giocare sempre a 36 anni ti fa sentire importante. Quando è andato in Arabia l’ho ringraziato perché è stato fondamentale. L’addio? La gente parlava più di questo che della finale di Champions e magari questo ci ha un po’ disturbato. Lui non voleva parlare di niente e voleva concentrarsi sulla finale è stato così per quei dieci giorni dopo il Como».

Infine, il ricordo della finale di Champions, una ferita ancora aperta. «Orgoglio e trauma al tempo stesso. Percorso meraviglioso e poi negli ultimi mesi abbiamo perso tre titoli, ma il calcio è questo».

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