Zerocinquantuno
·28 de dezembro de 2024
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Cominciò a sbeffeggiarlo l’Erinni Aletto: «Orfeo senza midollo, egoista e fedifrago. Che cosa credevi di fare? Non hai dato il tempo, non hai dato conforto, ti sei preso tutto. Non ti sei abbandonato». «È inutile che mi rampogni, bestia malefica», provava a difendersi Orfeo. «Cra cra», faceva Aletto, gracola senza creanza volata dai tetti di Rivareno. «E tu Tisifone, che la sai così lunga e t’inventi le conseguenze senza sintesi certa. E tu Megera, che ne approfitti e mi perseguiti di notte. So da me come stanno le cose, senza i vostri schemi da manuale». «Tu credi di saperlo stupido Orfeo, tu non sai quanto ne resta dentro di te». Finalmente lo lasciarono stare man mano che affondavano nell’afa verso il fondo. Nel mentre incrociò Sisifo, il semidio piegato sotto il masso in spalla. «Perché Sisifo fai tanta fatica? Che cosa trasporti?». «Trasporto via via prima le lastre dell’Augusto Altinate. Poi i covoni di grano di un carro intero. Poi i fasci di canapa fradici di acqua marcita. Poi gli ingranaggi di ghisa delle ruote dentate di tutte le tornerie. Poi bilici e bilici di sali di litio. L’ultimo viaggio è il più faticoso: infatti trasporto la colpa». Compare una gatta cenerina saltando fuori da un anfratto. Era Edvige, la gatta della sua infanzia. «Ti ho vista morta Edvige, schiacciata dall’autotreno dai quattro assi e dai dodici fari abbaglianti. Dove andavi Edvige di notte? Avevi voglia di un’altra cucciolata? Ancora una volta volevi strapparti il pelo per felpare la tana? Ancora una volta di tana in tana volevi sobbarcarti l’immane fatica di trasportare i cuccioli? Ancora una volta provare la dolcezza di abboccarli per la collottola? Ancora una volta volevi cacciare per loro piccole prede, giacché a questo scopo non ti davano cibo? Non lo sapevi che poi te li annegavano tutti?». Fanno ad Edvige corona i rondoni, che precipitando a capofitto dal canale dei coppi dei sottotetti di Rivareno piombano e salgono gridando a distesa, come ubriachi di cielo. «Sono qui che ti stavo aspettando», disse Edvige trotterellando all’intorno. Poi si accucciò genuflessa, si strusciò e fece le fusa. «Adesso stai tranquillo, io sono Edvige e sono Eumenide, e ti dico che niente è colpa tua. Vai da Persefone e parla». Assurto dai campi sul Centonara, assordante stormisce uno stormo di storni: repente scorcia e dispiega su in alto centurie, secondo impensati ma inequivoci corsi. Intanto Ade si dorme nell’afa della laguna.