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·09 de novembro de 2024
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L’edizione odierna de “La Repubblica” si è soffermata sulle parole del presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis.
Il presidente lo fa per la prima volta da quando Conte siede sulla panchina azzurra. Parole (scritte su X) per confermare di essere perfettamente allineato al pensiero espresso dal suo allenatore – che predica calma e pazienza – dall’inizio della stagione. De Laurentiis sottoscrive in pieno e ha deciso di parlare direttamente ai tifosi. L’avvio di campionato scoppiettante ha inevitabilmente alzato l’asticella delle aspettative, ma lo scudetto non può essere un obbligo a tutti i costi. L’auspicio è racchiuso in “quel mai dire mai” che sintetizza il pensiero del numero uno azzurro. Conte ha firmato un triennale e il primo mattone è il ritorno in Champions League, competizione necessaria non soltanto dal punto di vista sportivo ma anche per le casse del club. Una società come il Napoli non può fare a meno degli introiti della nuova Champions per il secondo anno consecutivo, quindi è questa la pietra miliare da cui ripartire.
Ma dei giorni interisti ha già parlato, con altri toni, lo scorso settembre: «Appiano era un disastro. Abbiamo lavorato su campi e foresteria, ora è un fiore all’occhiello». Parole che alla Pinetina non sono piaciute, e sarebbe strano il contrario. Quando arrivò a Milano, chiamato da Marotta per sostituire Spalletti, il progetto del centro sportivo, abbozzato in era Thohir, era già stato messo in cantiere dai nuovi padroni cinesi: dalle stanze dei giocatori allo sviluppo delle palestre. Lui mise fretta, questo sì. Chiese che il nuovo prato fosse steso il più presto possibile. Pretese che fossero lasciati fuori dai cancelli gli assistenti dei giocatori e gli autisti personali, che bazzicavano l’ex fortino di Helenio Herrera. Non si è più tornati indietro. La Pinetina oggi è isolata come una sala operatoria. E la sua eredità non si esaurisce lì. L’ex ct trovò un’Inter in Champions, educata alla costruzione dal basso da Spalletti che, nonostante avesse magre risorse, aveva lasciato il segno. Anche al centro di allenamento, dove volle, fra l’altro, che le siepi fossero potate di modo che i campi fossero visibili dalla palestra. Quella fra Spalletti, Conte e Inzaghi è una staffetta in cui non è facile dire chi ha fatto cosa. I tre corrono con passo e stile diversi. Conte non comunicava ai giocatori fino a sera se l’indomani ci si sarebbe allenati la mattina o il pomeriggio.
Carlo Gioia
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