Roberto Antonelli, il Dustin Hoffman del Milan: «Tutta colpa di Albertosi, il soprannome me lo ha dato lui. Ero un 9 e mezzo, in attacco sapevo fare tutto. Liedholm era scaramantico, mi ha mandato da un mago…» | OneFootball

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·02 de junho de 2025

Roberto Antonelli, il Dustin Hoffman del Milan: «Tutta colpa di Albertosi, il soprannome me lo ha dato lui. Ero un 9 e mezzo, in attacco sapevo fare tutto. Liedholm era scaramantico, mi ha mandato da un mago…»

Imagem do artigo:Roberto Antonelli, il Dustin Hoffman del Milan: «Tutta colpa di Albertosi, il soprannome me lo ha dato lui. Ero un 9 e mezzo, in attacco sapevo fare tutto. Liedholm era scaramantico, mi ha mandato da un mago…»

Milan, le parole dell’ex attaccante degli anni ’70 Roberto Antonelli, soprannominato ‘Dustin Hoffman’ e molto amato dai tifosi rossoneri

Quando pensi a certi attaccanti che hanno lasciato un segno nel cuore dei tifosi, magari non sempre con caterve di gol da copertina ma con un impegno che trasudava da ogni singola giocata, il nome di Roberto Antonelli non può che affiorare con un sorriso. Per i milanisti, soprattutto quelli che hanno vissuto la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, «Dustin» – quel soprannome un po’ così, che richiamava l’attore americano Dustin Hoffman per una certa somiglianza e forse per la stessa grinta indomita – è una figura che evoca un periodo di luci e ombre, ma di indubbia passione.

Non era il classico bomber da venti gol a stagione, o almeno non sempre, ma era quel tipo di centravanti che si sbatteva come un matto, che apriva spazi per i compagni, che non tirava mai indietro la gamba e che, quando vedeva la porta, sapeva come far male. La sua storia con il Milan è di quelle a due facce: prima l’esplosione e la gioia immensa dello Scudetto della stella, quello del 1978-79, conquistato da protagonista con gol pesanti e prestazioni generose al fianco di compagni come Rivera e Bigon.


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Poi, dopo un passaggio al Genoa dove si confermò bomber di razza, il ritorno in un Milan diverso, quello della ricostruzione post-Serie B, a lottare per riportare i colori rossoneri dove meritavano. Forse è proprio questa sua capacità di mettersi al servizio della squadra, di non mollare mai, che lo ha reso un giocatore così apprezzato, al di là dei numeri. lavoratore del gol, un gladiatore dell’area di rigore, che ha scritto pagine importanti, con sudore e dedizione. Oggi su La Gazzetta dello Sport Antonelli sfoglia l’album dei ricordi e si racconta.

IL SOPRANNOME “DUSTIN” – «Ricky Albertosi, appena arri vai al Milan. Mi disse: “Ma sai che sei uguale?”. Da lì: Dustin per sempre. Ci sono affezionato. I miei tre nipoti mi chiamano Nonno Dustin».

KROL LO DEFINI’ “UN BRASILIANO NATO IN ITALIA” – «Bel complimento e un po’ di verità c’è, la tecnica era il pezzo forte del mio repertorio».

IL RUOLO – «Ero un 9 e mezzo. Elegante, un buon dribbling, ottima coordinazione al tiro. Nel Milan della Stella giocavo alle spalle di Stefano Chiodi, il punto di riferimento in attacco. Io, Bigon, Novellino, Rivera, ci davamo il turno. Giocavamo un calcio ragionato, cercavamo il palleggio. Quell’anno segnai cinque gol. Il più importante contro la Roma a San Siro. Nei minuti finali mi procurai il rigore. Il rigorista era Chiodi, ma Liedholm indicò me:“Tiralo tu”. Chissà come mai decise così, forse per scaramanzia».

LIEDHOLM ERA SCARAMANTICO – «Una volta mi mandò con Aldo Maldera dal suo amico, il mago Maggi. E niente,il mago ci voleva solo conoscere, piacere, piacere mio, parlammo un po’, forse ci stava studiando (ride) e avrebbe riferito a Liedholm, chi lo sa».

GLI INIZI – «A Morbegno, provincia di Sondrio. Papà muratore, tifoso della Fiorentina, gli piaceva Hamrin; mamma sarta. Quando un dirigente del Monza venne a casa a dirmi che mi avevano preso, mio padre era euforico, mia mamma disperata. Mi era stato appena promesso un posto in banca. “Ma cosa vai a fare il calciatore?”, mi disse. A quei tempi era così».

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