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·9. Oktober 2025

đŸ—Łïž De Zerbi: “In Italia tifo per il Gasp. A Marsiglia si respira il calcio come a Foggia”

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Roberto De Zerbi, allenatore del Marsiglia, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera per raccontarsi a 360°:

“Cosa intendo quando parlo di calcio come riscatto sociale (frase pronunciata nel documentario di Prime Video sull’OM, ndr)? C’ù un momento preciso della mia vita dove inizio a fare calcio per sistemare la mia famiglia. Passo dall’oratorio al Lumezzane e poi al Milan, fra il 1992 e il 1994, in coincidenza con la crisi economica in casa: siamo costretti a vendere la fabbrica di tappetini e passiamo anni molto difficili. A quel punto non scherzavo piĂč. Uscito dalla Primavera, il giorno dopo la firma del primo quinquennale col Milan, ero in filiale a firmare il mutuo per comprare la casa ai miei genitori. Il calcio per me non Ăš mai stato solo divertimento”.


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“Ho fatto gli ultimi anni di carriera da calciatore in Romania, lontano dalla famiglia. Poi ho iniziato ad allenare e mi sono perso l’infanzia e l’adolescenza dei miei figli. Con i giocatori e lo staff cerco un rapporto: se oltre a rispetto e stima c’ù anche l’affetto ù un mix esplosivo”.

“Cerco una connessione, anche con l’ambiente. Marsiglia come Foggia? Sì, il modo di vivere il calcio ù uguale ed ù quello che si addice a me. Non so se io sono l’allenatore ideale per loro, ma Marsiglia ù il posto ideale per me, per il valore che dà al calcio: tutte le contraddizioni sociali vengono dimenticate per 90 minuti”.

“L’ho giĂ  dimostrato tante volte che non alleno per me stesso, anzi. Amo i giocatori forti e li voglio. E credo che il calciatore conti piĂč dell’allenatore per i risultati. Ero un numero 10: non potrei mai togliere valore al calciatore. Cito spesso una frase di Roberto Baggio (“Preferisco affogare nell’oceano che in una pozzanghera”) perchĂ© riporto una parte di me dentro al campo: mi piace chi determina, chi si prende le responsabilitĂ , chi rispetta le qualitĂ  che ha. Meglio essere fischiato per un errore, che nascondersi nella massa“.

“C’ù chi mi ama, chi mi odia e non sono predisposto a farmi capire e conoscere da tutti. Ma il calcio ha preso una direzione del gioco di un certo tipo. Trent’anni fa non si difendeva uomo a uomo a tutto campo e per chi impostava era piĂč facile passare la palla. Oggi spesso l’unico libero Ăš il portiere, che deve giocarla per forza. È una banalitĂ , ma a volte andare indietro Ăš la soluzione giusta per andare avanti”.

“Seguo tantissimo il campionato di Serie A e mi manca il mio Paese ma sto bene anche all’estero. Il vero problema Ăš che solo in Italia, nei settori giovanili, la sconfitta Ăš vissuta come una tragedia. E i talenti spesso hanno una maturazione tardiva: vanno aspettati. Come mi comporto con quelli piĂč difficili? Di solito hanno una sensibilitĂ  spiccata. L’allenatore deve aiutarli e capirli, ma il primo passo deve farlo il giocatore. Il mio rimpianto piĂč grosso Ăš l’uruguaiano Schiappacasse, al Sassuolo. Non sono riuscito a tirargli fuori niente, poi ho saputo dell’arresto per detenzione di arma da fuoco”.

“La rissa tra Rowe e Rabiot? “Mai vista una roba del genere. E io vengo dalla strada. Ma ci ha fatto bene, perchĂ© la societĂ  ha scelto di fare a meno di Rabiot, che non ha voluto fare un passo indietro”.

“La competizione Ăš alta, ma Luis Henrique ha caratteristiche diverse. Ogni tanto gli dicevo che giocava in ciabatte: deve sfruttare di piĂč il suo potenziale”.

“Sono contento per Gasperini, che all’Inter pagĂČ colpe non sue: un po’ tifo per lui, perchĂ© gli avevano dato l’etichetta che non poteva sedersi su una grande panchina. E invece puĂČ stare ovunque. Il Napoli Ăš piĂč che vivo, l’inter Ăš forse ancora la piĂč forte, il Milan sta giocando bene. È bello vedere tanta competitività”.

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