L'exploit del Cadice al Nasdaq apre la strada a nuove idee. Intanto spuntano le ipotesi di 5 posti fissi in Champions e di un paracadute per chi non fa le coppe | OneFootball

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·8. November 2025

L'exploit del Cadice al Nasdaq apre la strada a nuove idee. Intanto spuntano le ipotesi di 5 posti fissi in Champions e di un paracadute per chi non fa le coppe

Artikelbild:L'exploit del Cadice al Nasdaq apre la strada a nuove idee. Intanto spuntano le ipotesi di 5 posti fissi in Champions e di un paracadute per chi non fa le coppe

Non più tardi di qualche settimana orsono in questo stesso spazio editoriale si era avvertito di come all’interno del dibattito calcistico italiano qualche proprietà di Serie A non mancasse di far notare che guardare alla Borsa potesse essere un’opzione alternativa per ottenere risorse finanziarie per un club oppure quale uscita dall’investimento per quei sodalizi posseduti da fondi di private equity. E si spiegava che nel mirino non c’erano tanto le borse europee (che non hanno mai dato soddisfazioni significative ai proprietari di club calcistici), quanto piuttosto i mercati azionari nordamericani.

Questo perché negli Stati Uniti sono in molti a pensare che lo sport sia tra i comparti industriali con il maggior potenziale di crescita. Ne discende che l’appetito per investire nelle società sportive è in grandissimo aumento oltreoceano e la riprova sta nel fatto che la valutazione di tutte le franchigie dei grandi sport americani è letteralmente decollata negli ultimi anni. Stando alle analisi di Forbes, per esempio, nel 2010 il club sportivo dal valore più alto al mondo era il Manchester United, con una valutazione di 1,8 miliardi di dollari, seguito dai Dallas Cowboys di NFL (1,65 miliardi) e dai New York Yankees (1,6 miliardi), con tre club calcistici nella top 10 e la prima franchigia NBA addirittura 49ª (i Los Angeles Lakers, valutati 607 milioni di dollari). Invece nel 2024, la stessa classifica vedeva solo club sportivi nordamericani nelle prime 12 posizioni della graduatoria, dominata dai Dallas Cowboys (valutati 10,1 miliardi di dollari, con una crescita del 512%) e con i New York Yankees (7,5 miliardi,+370%) nei primi posti, mentre i Los Angeles Lakers sono stati venduti recentemente con una valutazione complessiva di 10 miliardi (+1.567% rispetto alla valutazione di Forbes nel 2010). Il tutto mentre il Manchester United ha visto crescere il suo valore “solo” del 260%, arrivando a 6,5 miliardi.


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Non solo, ma gli Stati Uniti sono anche il Paese che può vantare il maggior numero di milionari sul pianeta e in questo senso è il mercato con la più vasta liquidità da investire. Infine, ma non certo meno importante, a spingere gli investitori a stelle e strisce verso il calcio c’è il tema che gli sport americani hanno un numero chiuso di squadre. E se da un lato il numero fissato di franchigie può essere visto come una garanzia di redditività del bene su cui si punta, dall’altro pone un limite a chi vi vuole investire.

In tutto questo poi non va scordato che nel 2026 gli Stati Uniti ospiteranno il maggior evento sportivo esistente nel globo, ovvero il Mondiale per squadre nazionali. E non ci sarà vetrina migliore per spingere il calcio negli USA.

Il Cadice quotato al Nasdaq: esempio anche per i club italiani?

Tutto questo per dire che se in Italia si sta valutando, nel resto d’Europa c’è chi ha agito. Attraverso la sua filiale Nomadar, il Cadice – club che milita in Segunda División (la seconda divisione calcistica spagnola) – è diventato la prima squadra iberica a compiere il salto sul mercato azionario statunitense, quotandosi in questi giorni al Nasdaq, il mercato azionario statunitense specializzato principalmente nei titoli tecnologici e innovativi. Il risultato è stato inizialmente un successo clamoroso, visto che la capitalizzazione nei primi giorni aveva toccato quota 400 milioni di euro, ovvero pari a oltre tre volte la previsione più ambiziosa (visto che secondo gli analisti avrebbe dovuto essere intorno ai 100 milioni).

Nel dettaglio il prezzo di partenza di Nomadar, che preparava la quotazione da diversi anni,  rappresentava la grande incognita, poiché per il suo debutto si era scelto il sistema di quotazione diretta, nel quale non viene fissato un valore preliminare dei titoli, ma questo si determina al momento in base alle richieste di mercato. Inoltre il piano prevedeva che venissero negoziate solo le azioni di classe A, circa 13 milioni di titoli, mentre quelle di classe B, che attribuiscono maggiori diritti politici, restassero in mano al Cadice.

In questo quadro gli analisti ipotizzavano inizialmente una forbice di valore dell’azione compresa tra 8 e 10 dollari, quindi una capitalizzazione intorno ai 100 milioni di dollari. Nel giorno del debutto invece il Nasdaq indicava già in mattinata un valore di riferimento di 13,82 dollari per azione, corrispondente a una valutazione approssimativa di oltre 180 milioni di dollari, cioè un 80% in più rispetto alle stime iniziali più prudenti. E alla fine, i titoli hanno debuttato a 30 dollari, ossia tre volte il limite superiore della forchetta iniziale, raggiungendo una capitalizzazione di circa 400 milioni di dollari.

Insomma un impatto comunque positivo per il Cadice e per il calcio spagnolo visto che era la prima volta che un club professionistico iberico utilizzava la borsa per finanziarsi. E per di più nel principale mercato azionario del mondo, quello di New York.

Ora è evidente che sarà necessario vedere come proseguirà la quotazione (dopo una settimana ora la capitalizzazione è a circa 100 milioni di dollari) e come il titolo si muoverà a seconda dei risultati sportivi della squadra andalusa. Però è palese che anche al di fuori della Spagna, Italia compresa, molti protagonisti del calcio a livello dirigenziale non hanno mancato di notare questo exploit.

Calcio europeo tra Champions e campionati

Nel frattempo, a distanza di un mese dal convegno e della assemblea generale di Roma della European Football Clubs (il nuovo nome dell’organizzazione che unisce oltre 800 club europei e che precedentemente era nota come ECA) stanno iniziando a emergere, al di là delle dichiarazioni e degli ordini del giorno ufficiali, alcuni dei temi più spinosi discussi nell’assise svoltasi nella Capitale tra l’8 e il 9 ottobre scorsi.

Ufficialmente l’assemblea era terminata in particolare con l’ufficializzazione della strategia, realizzata in particolare da UC3 (la joint venture tra UEFA e la stessa EFC che gestisce gli aspetti media e commerciali delle competizioni UEFA) per quanto riguarda la vendita dei diritti tv per le coppe europee dal 2027 in avanti. Un tema che ha riguardato in particolare il nuovo bando per i diritti tv della Champions League, che avrà l’obiettivo soprattutto di coinvolgere i grandi player streaming globali.

Al termine della due giorni capitolina non erano neppure mancati i rilievi del presidente della Lega Calcio Serie A Ezio Simonelli e dell’amministratore delegato della stessa Luigi De Siervo che si erano detti preoccupati dall’incremento dei premi corrisposti dalla UEFA alle squadre partecipanti alle coppe proprio perché andavano a creare ulteriori scalini di ricchezza tra le grandi squadre e le medio-piccole. «Le Leghe nazionali, devono lavorare per far sì che si rifletta bene sul rischio di compressione che i vari campionati possono subire all’interno di un panorama dove la Champions League e anche il Mondiale per Club stanno acquisendo sempre più spazio».

Come si diceva, però, adesso stanno iniziando a trapelare molti dei temi discussi nei dietro le quinte. Nello specifico dall’assemblea di Roma è emerso il timore che nei prossimi anni, anche in virtù dei premi UEFA in crescita (visto che la Federcalcio continentale punta a far crescere i ricavi a 6 miliardi annui rispetto ai 4,4 dell’attuale ciclo), chi non gioca le coppe europee si troverà davanti un muro economico sempre più difficile da colmare.

Nei fatti o un club sarà tra le 50/60 società top in Europa e quindi con la relativa sicurezza di poter disputare le coppe e accedere ai premi UEFA, oppure non sarà semplice competere anche a livello nazionale per conquistarsi un posto valido per una competizione europea.

Insomma il divario tra le big e le altre in ogni nazione è previsto in ulteriore allargamento. Di qui l’idea di qualcuno di prevedere un secondo paracadute da aggiungere a quello esistente oggigiorno (quello per le squadre che retrocedono dalla Serie A alla Serie B). Un nuovo strumento che dovrebbe aiutare le società che non partecipano alle coppe e che restano nella massima serie.

Si tratta beninteso di una mera ipotesi al momento. Un’idea ancora tutta da verificare nella sua percorribilità pratica e che è tra l’altro tutta da quantificare. E che però nel caso, non potrà che accompagnarsi verosimilmente a un’altra riforma che sinora i vertici della Lega Serie A hanno avversato, ovvero quella di ridurre la massima categoria a 18 squadre. Altrimenti le società da beneficiare con il nuovo paracadute sarebbero troppe.

Nello stesso tempo è sicuramente non meno importante segnalare che nemmeno sono passati inosservati i nuovi desiderata di alcuni rappresentati delle leghe maggiori (nei fatti Inghilterra, Italia, Spagna e Germania che non a caso competono sempre per il posto extra in Champions League), i quali non tanto velatamente hanno sostenuto l’idea che dal prossimo ciclo della Champions (cioè a partire dalla stagione 2027/28) i campionati maggiori debbano avere garantiti nella massima competizione europea almeno cinque posti. Il messaggio alla UEFA è stato chiaro in questo senso: il fatturato della Champions nei fatti lo portiamo noi, ovvero le squadre delle grandi leghe, e poi viene distribuito su 36, quindi vogliamo più posti.

Anche qui al momento si tratta di ipotesi, però nemmeno tanto campate per aria, data l’importanza degli stakeholder coinvolti, poi nel caso si vedrà.

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