La giustizia sportiva non può eludere i giudici nazionali: perché l'Avvocato della Corte Ue ha dato ragione ad Agnelli | OneFootball

La giustizia sportiva non può eludere i giudici nazionali: perché l'Avvocato della Corte Ue ha dato ragione ad Agnelli | OneFootball

In partnership with

Yahoo sports
Icon: Calcio e Finanza

Calcio e Finanza

·18 December 2025

La giustizia sportiva non può eludere i giudici nazionali: perché l'Avvocato della Corte Ue ha dato ragione ad Agnelli

Article image:La giustizia sportiva non può eludere i giudici nazionali: perché l'Avvocato della Corte Ue ha dato ragione ad Agnelli

Il parere espresso questa mattina dall’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuto su uno dei nodi più delicati del rapporto tra ordinamento sportivo e diritto dell’Unione: i limiti dell’autonomia della giustizia sportiva e l’effettività della tutela giurisdizionale per dirigenti e tesserati sanzionati.

Il caso in questione – come noto – è nato dai procedimenti che hanno portato all’inibizione per 24 mesi dell’ex presidente e dell’ex amministratore delegato della Juventus, Andrea Agnelli Maurizio Arrivabene, con estensione delle sanzioni in ambito UEFA e FIFA, e dal successivo ricorso al TAR del Lazio da parte dei due dirigenti inibiti, che ha sollevato questioni pregiudiziali davanti alla Corte di Giustizia dell’Ue.


OneFootball Videos


Il punto di partenza: il monopolio sportivo e il problema della tutela

Come emerge dal parere consultato integralmente da Calcio e Finanza, l’Avvocato generale muove da una premessa teorica chiara: l’ordinamento sportivo si fonda su un monopolio di fatto delle federazioni, che rende “coercitiva” l’adesione alle loro regole. Proprio per questo, le sanzioni disciplinari – capaci di incidere direttamente sull’attività professionale – non possono sottrarsi al controllo del diritto dell’Unione.

In Italia, tuttavia, la legge n. 280/2003, come interpretata dalla Corte costituzionale, riserva agli organi di giustizia sportiva il potere di annullare le sanzioni disciplinari. Al giudice amministrativo resta solo una tutela “per equivalente”: il risarcimento del danno, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva. Ed è qui che nasce il conflitto con il diritto comunitario.

Le sanzioni e il diritto della concorrenza: nessuna violazione automatica

Analizzando anzitutto il profilo economico, l’avvocato generale esclude che le sanzioni disciplinari inflitte ai dirigenti violino, di per sé, gli articoli 101 e 102 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Anche ammettendo che FIGC e CONI possano essere considerate “imprese”, non emerge una restrizione della concorrenza né un abuso di posizione dominante: le sanzioni colpiscono persone fisiche e non risultano idonee, in modo automatico, a falsare il mercato tra club.

Libera circolazione: l’ostacolo c’è, ma può essere giustificato

Diverso il discorso sulla libera circolazione dei lavoratori e dei servizi. Un’inibizione di 24 mesi, soprattutto se estesa a livello UEFA e FIFA, è chiaramente idonea a impedire o scoraggiare un dirigente dall’accettare incarichi in altri Stati membri. L’ostacolo agli articoli 45 e 56 TFUE, dunque, esiste.

Tuttavia, secondo l’Avvocato generale, tale ostacolo può essere giustificato se:

  1. persegue un obiettivo legittimo di interesse generale, come la regolarità e la lealtà delle competizioni sportive; 
  2. rispetta il principio di proporzionalità, ossia se le sanzioni sono fondate su criteri trasparenti, oggettivi e non discriminatori, e tengono conto delle circostanze concrete del caso. 

Su questo punto, la valutazione finale spetta al giudice nazionale.

Il nodo centrale: la tutela giurisdizionale effettiva

Il cuore del parere riguarda però la prima questione pregiudiziale: è compatibile con l’articolo 19 TUE e con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali un sistema che consente al giudice statale solo di riconoscere un risarcimento, senza poter annullare la sanzione sportiva illegittima?

La risposta dell’Avvocato generale è netta: no. Richiamando la giurisprudenza più recente della Corte, egli chiarisce che un controllo giurisdizionale è “effettivo” solo se il giudice può trarre tutte le conseguenze dell’illegittimità riscontrata. Ciò significa non solo accertare la violazione e liquidare un danno, ma anche annullare la decisione viziata e adottare misure cautelari.

La sola tutela risarcitoria è ammessa solo in casi eccezionali, quando l’annullamento rischierebbe di compromettere obiettivi specifici del diritto dell’Unione (come avvenuto in altri settori regolati da norme Ue). Nel caso della giustizia sportiva, questa giustificazione non ricorre.

Il governo italiano ha invocato l’identità costituzionale e l’autonomia dell’ordinamento sportivo. Ma l’avvocato generale richiama con forza il primato del diritto comunitario: valori come lo Stato di diritto e la tutela giurisdizionale effettiva non possono essere compressi nemmeno in nome dell’identità nazionale. L’autonomia sportiva è legittima, ma non può tradursi in una sottrazione al controllo giurisdizionale effettivo.

La conclusione: serve il potere di annullare

In sintesi, l’avvocato generale propone alla Corte di affermare due principi chiave:

  1. le sanzioni disciplinari sportive che incidono sull’attività professionale non sono, in sé, incompatibili con il diritto dell’Unione europea, purché giustificate e proporzionate; 
  2. una normativa nazionale che limita il giudice statale al solo risarcimento, escludendo l’annullamento delle sanzioni illegittime, viola l’articolo 19 TUE e l’articolo 47 della Carta. 

Un passaggio che, se confermato dalla Corte di giustizia, è destinato a incidere profondamente sull’assetto della giustizia sportiva italiana ed europea, ridefinendo i confini tra autonomia delle federazioni e garanzie fondamentali dei soggetti sanzionati.

Temi

View publisher imprint