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·11 de octubre de 2025

UEFA: no alla Superlega, ma la Champions stringe sempre più la morsa sui campionati nazionali

Imagen del artículo:UEFA: no alla Superlega, ma la Champions stringe sempre più la morsa sui campionati nazionali

Dopo vari incontri con A22 Sports Management, la società alle spalle dei piani per rilanciare il progetto Superlega,  la UEFA ha spiegato di non avere intenzione di modificare l’attuale formula della Champions League (il cosiddetto modello svizzero) neanche oltre il 2027 (quando scadrà il ciclo attuale), nei fatti respingendo le avances della società legata alla Superlega che premeva per un format un po’ più elitario della massima competizione europea.

Nello specifico A22 aveva avanzato una proposta che avrebbe mantenuto 36 club qualificati tramite i campionati nazionali, ma li avrebbe suddivisi in due gruppi:


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  1. nel primo sarebbero stati compresi i 18 club di ranking UEFA più alto. Questi avrebbero giocato otto partite nella prima fase, garantendo un maggior numero di scontri di alto livello;  
  2. nel secondo sarebbero state inserite le squadre con il ranking dal 19° al 36° posto.  

Al termine della fase a gironi il torneo sarebbe proseguito in questo modo:

  1. gli otto club meglio posizionati nella classifica del Gruppo 1 sarebbero andati direttamente agli ottavi,  
  2. mentre le squadre piazzatesi tra la nona e la 16esima posizione nel Gruppo 1 avrebbero incontrato le prime otto del secondo gruppo in un turno di play-off. 

Nei fatti soltanto due squadre del Gruppo 1 sarebbero state eliminate al termine della prima fase a conferma della formula un po’più elitaria della manifestazione.

D’altro canto, il format ideato da A22 avrebbe però portato a un maggior numero di match tra grandi squadre nella fase iniziale e soprattutto ovviato a quello che appare il punto debole del modello svizzero: quello dello scarso peso di alcune partite nel girone unico.

Nel sistema attuale si viene eliminati in maniera definitiva solo se ci si classifica dalla 25esima posizione in giù. In questo quadro, visto che la competizione ospita anche squadre di campionati di livello molto inferiore, ben difficilmente i club più blasonati non riescono a piazzarsi tra i primi 24 posti su 36. Per esempio, lo scorso anno nonostante la partenza horror nelle prime cinque partite il PSG si piazzò al quindicesimo posto nel girone unico. E però questo non impedì ai parigini di proseguire lungo tutto il percorso sino a trionfare nella finale di Monaco di Baviera.

Questa quasi sicurezza di continuare oltre il girone unico (ottenendo quantomeno la qualificazione ai playoff) inevitabilmente porta con sé una sorta di mancanza di pathos nei match della prima fase. Cosa non così accentuata nella formula precedente quando con i gironi a quattro squadre quasi ogni match poteva essere decisivo.

Non a caso, almeno per quanto concerne i tifosi italiani, i numeri sulle presenze allo stadio nel girone unico di Champions sono inferiori a quelli della stessa squadra in campionato.

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Media spettatori

Lo scorso anno questa testata aveva mostrato come i dati di riempimento di San Siro sia per l’Inter che per il Milan fossero inferiori nelle partite del girone unico nei confronti di quelle di campionato.

E anche quest’anno, sebbene ogni squadra abbia giocata solo una partita tra le mura amiche, le indicazioni sono simili:

  • l’Inter non è andata oltre le 62mila presenze contro lo Slavia Praga, a dispetto della media in Serie A di oltre 71mila spettatori 
  • la Juventus contro il Borussia ha venduto oltre 41mila tagliandi, numeri simili alla media in Serie A (dove è anche leader nella classifica sul tasso di riempimento del proprio impianto), ma si è trattato a tutti gli effetti di un big match 
  • il Napoli ha toccato quota 50mila circa, numeri simili a quelli del campionato (i partenopei non forniscono dati ufficiali sugli spettatori, pertanto si tratta di stime) 
  • l’Atalanta 21.950 contro gli oltre 22.400 mediamente registrati finora in Serie A.

Se è vero che le presenze nelle sfide valide per la Champions risultano essere mediamente inferiori a quelle delle gare del campionato, va comunque sottolineato che la programmazione delle partite europee in giorni feriali può avere un impatto sul pubblico più distante dagli stadi.

LE MOSSE CORRETTIVE DELLA UEFA NEL 2025/26

Questo minor pathos non è sfuggito all’UEFA che non a caso quest’anno ha introdotto delle innovazioni per dare maggiore peso ai match a girone unico. Come l’anno passato le prime otto squadre nella graduatoria unica avranno il diritto qualificarsi direttamente agli ottavi, dove avranno anche il diritto di avere la seconda partita in casa. Particolare tornato a essere un grande vantaggio dopo la soppressione della norma sui gol in trasferta. Non foss’altro perché gli eventuali supplementari si disputerebbero tra le mura amiche.

Dai quarti però le cose sono diverse. L’anno passato le otto squadre rimaste nel torneo andavo incontro a un sorteggio per decidere chi avesse giocato i match prima in casa e poi in trasferta. Invece da quest’anno le prime quattro giunte nella graduatoria del girone unico, se qualificate, avranno il diritto di giocare la seconda in casa anche nei quarti e le prime due potranno giocare in casa la partita di ritorno sino alle semifinali.

Insomma, non si potrà ripetere quanto avvenuto l’anno scorso quando il sorteggio permise all’Inter, classificatasi quarta nel girone unico, di disputare a San Siro la semifinale di ritorno con il Barcellona (seconda nella graduatoria). E a Milano e dintorni non sono in pochi a pensare che la spinta del Meazza fu decisiva per trascinare i nerazzurri nei supplementari.

Soprattutto però a convincere la UEFA a non cambiare il formato del modello svizzero sono state due motivazioni, una politica e una economica. La prima è che modificare la formula dopo appena un anno dalla sua introduzione sarebbe equivalsa a un’ammissione di fallimento del format stesso. Inoltre, assecondare le richieste di A22 proprio quando la Superlega sembra essere sempre più in difficoltà (anche il Barcellona avrebbe lasciato il piano lasciando solo il Madrid) sarebbe potuta essere considerata una debolezza da parte di chi invece ha vinto.

In termini economici, invece, non va dimenticato che l’introduzione del modello svizzero ha portato con sé un ampliamento dei premi da redistribuire alle squadre partecipanti. Il montepremi complessivo si è alzato da circa 2 miliardi a oltre 2,5 miliardi di euro. La sola partecipazione vale già fino a 10 milioni di euro in più per ogni club, mentre arrivare in fondo alla competizione porta a incassare tra i 130 e i 150 milioni di euro, come dimostrato da Inter e PSG nella prima edizione con il nuovo format.

In questo quadro, anche se è possibile che il format targato A22 avrebbe potuto portare con sé maggioro denari, quanto ottenuto con il modello svizzero è stato ritenuto un livello di entrate soddisfacente. Anche perché la UEFA sta puntando molto su un grande aumento dei proventi da diritti tv per i prossimi anni. Nel particolare UC3, la joint venture tra UEFA ed European Football Clubs (precedentemente nota come ECA), ha approvato la propria strategia commerciale per il ciclo 2027-2033 delle competizioni europee per club maschili e  la società che gestisce i diritti commerciali della Champions League, Europa League e della Conference League (oltre che di altre competizioni continentali) ha spiegato che la UEFA ha raccolto dai diritti tv circa 4,4 miliardi a stagione nel ciclo 2024-2027 e secondo indiscrezioni l’obiettivo sarebbe quello di arrivare a una cifra tra i 5 e i 6 miliardi di euro a stagione dal 2027 in avanti.

Un obiettivo molto sfidante per l’ottenimento del quale UC3, oltre all’ambito media, utilizzerà un modello commerciale più flessibile e mirato per sponsorizzazioni e licensing aiutando i brand a raggiungere i tifosi con maggiore precisione, generando al contempo valore aggiuntivo nei contesti televisivi, digitali e live. La strategia punterà inoltre a valorizzare le opportunità offerte dall’intero ecosistema delle competizioni UEFA per club, assicurando che le audience siano pienamente sfruttate dal punto di vista commerciale.

Insomma, l’idea è quella che il potenziale economico della Champions League, e di conseguenza del montepremi da redistribuire ai club partecipanti, sia ben lungi dall’essere completamente sfruttato. Ed è quindi plausibile pensare che maggiori entrate saranno garantite a quelle società che parteciperanno in maniera continuativa nei prossimi anni alla massima competizione europea.

I TIMORI DEI CAMPIONATI E DEI CLUB MEDIO-PICCOLI

In questo quadro non sorprende che nell’incontro tra i vertici del calcio continentale e i club di Serie A avvenuto ai margini del Convegno ECS di Roma  abbiano partecipato anche il presidente della Lega Calcio, Ezio Maria Simonelli, quello della Lega di B, PaoloBedin, l’amministratore delegato della Serie A, Luigi DeSiervo, e il presidente della FIGC, GabrieleGravina. E stupisce ancora meno che proprio dagli esponenti del calcio italiano sia arrivato il messaggio delle società medio-piccole, che hanno espresso forti preoccupazioni per la gestione attuale delle risorse economiche.

Infatti, nella loro opinione, la nuova Champions League, così come il cambio di format di Europa League e Conference, si è ingrandita a discapito delle competizioni nazionali che, viceversa, continuano a impoverirsi facendo anche fatica a trovare emittenti pronte a trasmetterle mettendo sul piatto cifre sufficienti. Va notato che attualmente la UEFA garantisce 308 milioni di euro alle società che restano a fuori dalle tre competizioni continentali. Ma si tratta comunque di un flusso minimo rispetto ai ricchi ricavi garantiti ai club che ne prendono parte, soprattutto alle 36 della Champions. Inoltre, non bastano per compensare il calo derivante dai ricavi televisivi dei campionati nazionali, come dimostra il caso della Ligue 1.

Nel dettaglio per il triennio attuale, iniziato nel 2024 e che terminerà nel 2027, la UEFA ha ottenuto circa 4,4 miliardi di ricavi. Cifra che il massimo organo del calcio europeo presieduta da Aleksander Ceferin punta ad aumentare per il prossimo ciclo, come detto potenzialmente fino a 6 miliardi. E la preoccupazione dei medio-piccoli è che quegli 1,5 miliardi, che arriverebbero in gran parte dalle televisioni, vadano a discapito delle competizioni nazionali con i broadcaster più interessati a investire nelle grandi competizioni internazionali che nei singoli campionati.

Insomma, partendo da queste premesse, la forbice di guadagno fra pochi grandi club che partecipano alla Champions rispetto a chi ne è escluso si amplierebbe ancora di più di quanto non lo sia sinora. E se il piano di A22 probabilmente avrebbe previsto un processo di soffocamento più veloce per i club medio-bassi, non si può nemmeno dire che la Champions League targata UEFA non stia stringendo le sue spire nei confronti delle società che non disputano le coppe e dei tornei nazionali.

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