Lazio, l’ex Gottardi si racconta: «Dagli inizi come giardiniere in Svizzera a Zeman, sempre correndo» | OneFootball

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·7 juillet 2025

Lazio, l’ex Gottardi si racconta: «Dagli inizi come giardiniere in Svizzera a Zeman, sempre correndo»

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Lazio, le parole dell’ex Guerino Gottardi: dagli inizi in Svizzera lavorando come giardiniere, arrivando alla Capitale da Zeman ed Eriksson

Era il jolly per eccellenza, l’uomo delle coppe, il dodicesimo uomo che ogni tifoso della Lazio ricorda con affetto e gratitudine. Guerino Gottardi, nato a Berna da genitori italiani, è stato uno dei simboli di una delle squadre più forti di sempre, quella di Eriksson che a cavallo del nuovo millennio vinse tutto. Non era un fenomeno, come ammette lui stesso, ma la sua duttilità, la sua corsa instancabile e la sua capacità di essere decisivo quando chiamato in causa lo hanno reso un vero e proprio eroe di culto per il popolo biancoceleste. Dalle sue origini come giardiniere-calciatore in Svizzera all’arrivo a Roma, ha vissuto un’epopea indimenticabile, vincendo otto trofei. Oggi, da imprenditore immobiliare, si racconta in un’intervista a La Gazzetta dello Sport, ripercorrendo aneddoti, segreti e protagonisti di quella Lazio leggendaria.

LE ORIGINI IN SVIZZERA – «A Berna andò prima mia mamma, che curava la casa di un notaio, poi papà che ha cambiato tanti mestieri di tutto: prima ha lavorato nelle risaie, poi ha fatto il camionista, quindi il portinaio».


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L’INIZIO COME CALCIATORE-GIARDINIERE – «Correvo, correvo. Si iscrissero i miei amici, dissi “vengo anch’io”. È cominciata così. Diplomato giardiniere paesaggista, lavoravo fino alle 13 come giardiniere e alle 16 andavo ad allenarmi. I miei genitori mi hanno insegnato che una base devi averla».

IL RAPPORTO CON LE COPPE – «Tutto quel che si poteva tranne la Champions. Giocavo più in coppa, non ho mai capito il perché. Era diventata quasi una barzelletta e allora dicevo che giocavo solo quando contava».

IL RICORDO DI ZEMAN – «Tutti e tre. Quante battute mi faceva Zeman se la sera uscivo. Ci pesavano il giorno dopo. E lui “Ma che ti sei mangiato le pietre, ieri sera?”. Sulla fase offensiva era bravissimo, su quella difensiva meno perché difendevamo a metà campo e lasciavamo troppo campo agli avversari».

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