Marco Amelia: «La lite tra Allegri e Ibrahimovic è costata lo scudetto al Milan. Ho un rimpianto in carriera: non essere tornato alla Roma. Mourinho mi ha salvato dal disgusto per il calcio» | OneFootball

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·29 September 2025

Marco Amelia: «La lite tra Allegri e Ibrahimovic è costata lo scudetto al Milan. Ho un rimpianto in carriera: non essere tornato alla Roma. Mourinho mi ha salvato dal disgusto per il calcio»

Gambar artikel:Marco Amelia: «La lite tra Allegri e Ibrahimovic è costata lo scudetto al Milan. Ho un rimpianto in carriera: non essere tornato alla Roma. Mourinho mi ha salvato dal disgusto per il calcio»

Le dichiarazioni del portiere Marco Amelia tra passato e presente

Marco Amelia, ex portiere campione del mondo e ora allenatore del Sondrio in Serie D, si è raccontato in un’intervista a La Gazzetta dello Sport.

FARE L’ALLENATORE«Io sono curioso e rompiscatole, mi è sempre piaciuto conoscere le idee dei tecnici. Negli ultimi anni giocando meno ho iniziato a osservare di più, chiamavo gli allenatori, non solo i miei per sapere, più di qualcuno mi ha consigliato di iscrivermi al corso di Coverciano e così ho fatto».LA PASSIONE PER IL CALCIO«Vengo da una famiglia numerosa con 18 cugini, tutti tifosi. Io sono tra gli ultimi e mio fratello di tre anni più grande faceva la scuola calcio. Ho avuto la fortuna di vivere in un posto di campagna dove stavo col pallone tra i piedi dalla mattina alla sera».IL MITO DEL PORTIERE«Mio fratello era portiere, una volta giocai in porta e parai un rigore: un segnale. Ho sempre avuto il mito del portiere, da ragazzino andavo in curva a vedere la Roma e il giocatore più vicino a me era il portiere: chiedevo maglia e guanti a Cervone e Peruzzi».IL MONDIALE 2006«Non ho giocato ma mi sono allenato più degli altri, è stata una faticaccia… Ero giovane ma ho cercato di dare supporto, condividendo tanto con Gigi Riva. Angelo è stato ancora più utile e in campo per me resta un modello. Non aveva tanto gioco con i piedi, che all’epoca non era così importante, però non ricordo un suo errore. Non rischiava mai».LIPPI«Lippi ha costruito un gruppo di 23 persone per andare al Mondiale e questo ha fatto la differenza. Ci siamo divertiti tanto, come quando il ct entrò nella ghetto del ritiro e fece finta di pescare un pesce che il cuoco aveva appena tirato fuori dal frigo. Qualcuno ci aveva creduto davvero…».DAL SOGNO ROMA ALLA CRESCITA A LIVORNO«In realtà io speravo di restare a Roma, ero un giovane di prospettiva, poi il club comprò Pelizzoli, mi capitò il Livorno e scelsi di andare a giocare. Fu una scelta azzeccatissima. Livorno è una piazza tosta ma era giusta per la mia crescita, che è stata più veloce di quanto pensassi: dopo due anni arrivai in A».IL GOL IN EUROPA COL LIVORNO«C’è un abisso. Se penso a quel gol mi esalto ancora anche se faccio fatica a ricordare tutto. Sul momento non me la sono goduta però è stato fantastico anche per come ha cementato il rapporto coi tifosi. La cosa divertente è che ho temuto di non poterlo raccontare, perché sul volo di ritorno ce la siamo vista brutta: era una aereo da 30 posti, a un certo punto si sono spente le luci, i rulli erano bloccati e non potevamo atterrare. Dentro di me dicevo: “Sono stato il primo portiere italiano a segnare in Europa e non lo potrò dire a nessuno, non è possibile…”. Quando abbiamo toccato terra ho tirato un sospiro di sollievo».IL PIÙ GRANDE RIMPIANTO«Non essere tornato alla Roma. Non me lo perdonerò mai. Non si sono mai incastrati gli astri, ogni tanto ci penso e ancora mi dà noia. Anche perché in quegli anni non avevamo grandi portieri».I PUNTI DI FORZA«Freddezza, capacità di leggere le situazioni e forza caratteriale. Capivo in anticipo quello che poteva succedere e mi facevo trovare pronto. E mentalmente sono sempre stato solido: se crollava il mondo non mi spostavo. Non sono mai entrato nel circolo vizioso delle critiche, neanche nei momenti no».LO SCUDETTO PERSO COL MILAN«Colpa di un battibecco tra Allegri e Ibrahimovic in Champions. Negli ottavi avevamo vinto 4-0 all’andata e al ritorno Allegri portò due portieri in panchina (all’epoca si andava ancora in 7), che per Zlatan significava avere una mentalità perdente. Perdemmo 3-0 con miracolo di Abbiati nel finale ma passammo in turno. Max tornò dalle interviste ridendo, Zlatan non la prese bene e glielo fece notare in modo ruvido. Per me quel giorno si è rotto qualcosa: avevamo 10 punti sulla Juventus e buttammo via il campionato. In quella stagione ci fu anche il famoso gol di Muntari, l’ingiustizia più grande subita in carriera».LA RINASCITA AL CHELSEA GRAZIE A MOURINHO«Sapeva tutto di me. Mi chiamò e mi disse: “Mi serve un secondo, devi solo far vedere che stai bene”. Io ero disgustato dal calcio, tornai a casa mia, al Rocca Priora, ma a Mou non si può dire di no: è empatico e trascinatore. Anche se il mio idolo resta Mazzone».LA CARRIERA«Il primo scudetto l’ho vinto da giocatore tifoso, il secondo da giocatore vero. Il Mondiale è qualcosa di unico e straordinario, non c’è nulla di più grande, però l’esperienza che mi ha formato di più è stata l’Olimpiade. Mi sono confrontato con grandi atleti, da Montano alla Pellegrini, e da lì è iniziata la mia vera carriera. Ho cambiato mentalità e ho avuto stagioni incredibili».

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