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·27 settembre 2025
Cagliari, Festa: «Per me Cagliari è tutto! Ranieri è stato un mentore. Avremmo scalato una montagna per lui. Cellino…»

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·27 settembre 2025
Gianluca Festa, ex difensore e oggi allenatore, ha concesso una lunga intervista all’edizione online de La Gazzetta dello Sport. Doppio ex della sfida tra Cagliari e Inter, il tecnico ha ripercorso alcuni momenti significativi della sua carriera, soffermandosi sulla decisione di lasciare i rossoblù e sul rapporto con figure centrali del calcio italiano. Le sue parole:
COSA RAPPRESENTA CAGLIARI PER FESTA – «Tutto. Sarò scontato, ma è così. Giocavo in una squadretta del paese, mi presentai al provino coi rossoblù come punta perché segnavo parecchi di gol. ‘Vai in difesa’, mi dissero. Da lì ho fatto tutta la trafila nelle giovanili. Ho debuttato in B a 17 anni contro il Modena: era il 1987. Una vita fa. Ho collezionato quasi 200 presenze e vissuto tre promozioni: una dalla C1 alla B, due dalla B alla Serie A».
CHE CALCIATORE ERA – «Non un talento, ma ho tirato fuori la grinta, il coraggio, l’attenzione ai dettagli. Anche se vedendo i centrali difensivi di oggi ho rivalutato molto ciò che sono stato. Non era facile puntare l’area con uno come me in mezzo alle scatole, forse neanche per Van Basten. Scherzi a parte: mi sono conquistato ogni centimetro, come la promozione in Serie A col Cagliari. Pensi che nel 1987-88 ho giocato a Fucecchio, in D. Lì c’erano ragazzi che si mantenevano facendo il doppio lavoro. Mi ha insegnato molto».
RANIERI – «Claudio Ranieri è stato un mentore. Avremmo scalato una montagna per lui. Uscivamo a cena insieme a lui e al suo staff, poi ci lasciava liberi di divertirci e di coinvolgere anche i magazzinieri. Facevamo un po’ di casino, ma in partita eravamo pronti a tutto. A lui bastava dirci ‘Dilly-ding dilly-dong».
SCARAMANZIA DI CELLINO – «Ai tempi del Cagliari avevo una macchina rossa, mi presentavo sempre con quella, ma un giorno arrivai allo stadio con un’altra auto. Lui impazzì. Disse che portava fortuna e che non potevo cambiare. Mi impose di tornare a casa poco prima della partita, riprendere la macchina e parcheggiarla nello stesso posto. Lo feci fare a mio padre. Cellino lo scortò in tribuna d’onore. Inoltre, odiava il viola: con lui era impossibile presentarsi con quel colore».
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