Calcio e Finanza
·17 novembre 2024
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Valerio Casagrande (47 anni) è il Chief Financial Officer (CFO) del Parma dal 2018. Durante questo lasso di tempo il club ducale è passato da una proprietà cinese al ritorno dei sette imprenditori parmigiani che lo avevano rifondato per giungere nelle mani dello statunitense Kyle J. Krause. In questa intervista esclusiva a Calcio e Finanza il manager ha spiegato l’andamento del bilancio dei gialloblu in chiusura al 31 dicembre e le prospettive della società emiliana nel medio e lungo periodo.
Domanda. Con il ritorno in Serie A, quali sono le stime sul bilancio 2024, in chiusura al 31 dicembre? Risposta. «La campagna trasferimenti si è perfezionata nel rispetto del perimetro finanziario che avevamo programmato. Anche dal punto vista tecnico – sportivo è stata coerente con la nostra visione strategica basata tra le altre su giovani e player trading. Sono stati, infatti, acquisiti giocatori di belle speranze e talento e sin da ora validamente impiegabili in un contesto estremamente competitivo come il campionato di Serie A e che quindi presentano un notevole potenziale in chiave futura. Abbiamo contenuto brillantemente la spirale inflazionistica che tipicamente si genera in relazione ai costi a seguito del passaggio di un club dalla Serie B alla Serie A. Questo elemento è in controtendenza rispetto alle dinamiche osservate, ma al contempo non è sorprendente nel nostro caso, in quanto pianificato e implementato nel percorso ideato nelle passate stagioni che aveva portato alla costituzione di una rosa di giocatori di proprietà aventi potenziale e inseriti in un percorso di crescita».
D. Per quanto concerne invece i ricavi?
R. «Sul fronte dei ricavi beneficiamo delle iniziative aziendali poste in essere dalla società e della naturale crescita determinata dal passaggio di categoria per quanto attiene ai proventi derivanti dai diritti audiovisivi e, in generale, a quelli commerciali tutti. La combinazione di quanto sopra determinerà un sensibile miglioramento dei risultati economici rispetto alle ultime stagioni (il bilancio 2023 ha segnato una perdita di 80,5 milioni, ndr) e l’allineamento con il percorso improntato al futuro raggiungimento della sostenibilità economico – finanziaria del club».
Valerio Casagrande
D. Il Parma tra le sue leve economiche punta, come diceva prima, sui giovani anche per puntare sul player trading: va ormai considerato una fonte ordinaria di ricavi? R. «La selezione, l’acquisizione e lo sviluppo di giovani talenti, provenienti da tutto il mondo, è un pilastro della strategia aziendale del Parma. Coerentemente, l’età media della nostra prima squadra maschile è la più bassa della Serie A. Abbiamo un modello e un posizionamento sportivo molto ben definito, che portiamo avanti con grande consapevolezza e coerenza. Premettendo che quanto dirò deve essere inquadrato in un ambito gestionale e le mie considerazioni non afferiscono alla sfera contabile e fiscale in senso stretto, l’ordinarietà dei ricavi derivanti dal player trading dipende, dal punto di vista concettuale, dal modello di business adottato dal club».
D. In che senso?
R. «Se la gestione è sistematicamente imperniata sull’acquisto e rivendita dei giocatori e/o sullo sviluppo del settore giovanile e sulla valorizzazione degli atleti provenienti dal vivaio, allora i ricavi del player trading sono da considerare ordinari, in quanto organici al modello gestionale e nient’altro che “naturale effetto del ciclo produttivo” caratteristico implementato dalla società. Viceversa, non sono ordinari, se il modello gestionale del club è fondato su altre direttrici e il ricavo derivante è frutto di una circostanza di natura estemporanea. Dal punto di vista numerico, invece, i ricavi derivanti dal player trading sono difficilmente inquadrabili come ordinari, in quanto, soprattutto in un orizzonte temporale pluriennale, sono molto difficilmente prevedibili in termini di quantum. Questa caratteristica non deve in ogni caso esimere il management della società dal porsi dei target previsionali che guidino le iniziative aziendali».
D. Il presidente Kyle J. Krause ha investito molto nelle casse del club da quando nel 2020 ha acquisito il club: servirà ancora a lungo il suo sostegno economico/finanziario? Qual è la strada per la sostenibilità senza l’intervento del proprietario?
R. «L’impegno della nostra proprietà nel club è di lungo periodo. In ragione di questa prospettiva, nel corso di questi primi anni successivi all’acquisizione sono stati effettuati investimenti significativi. La nostra rosa rappresenta, tra gli altri, un asset, interamente proprietario, di notevole valore. È stato, dunque, pianificato un percorso di progressivo raggiungimento della sostenibilità economico – finanziaria, in cui nella prima fase, consapevolmente, l’equilibrio deve essere garantito dall’intervento della proprietà. I capisaldi gestionali del percorso sono costituiti dall’identificazione e dallo sviluppo di nuove linee di ricavo, nonché dalla già menzionata valorizzazione tramite il player trading».
D. Non sono però mancati momenti in cui il supporto è stato necessario.
R. «In questa traiettoria virtuosa, si sono verificati tre eventi che hanno accentuato le necessità finanziarie: la coda degli effetti negativi del covid e la retrocessione in Serie B, nonché la permanenza in tale campionato per due stagioni. A queste circostanze sicuramente non positive, la proprietà ha risposto con grande determinazione, profondendo un impegno ancora maggiore e permettendo al club di mantenere una capitalizzazione costantemente positiva e di evitare l’indebitamento finanziario, per giunta, senza ricorrere alla leva, concessa al settore un paio di anni fa, di rateizzare il debito fiscale. Una linea di condotta – mi permetto di dire – improntata alla serietà e al rispetto della comunità dei contribuenti, cioè tutti noi».
D. Sempre in tema di proprietà USA, in Italia sono sempre di più numerose: cosa portano al nostro calcio?
R. «Mi perdoni la digressione puramente personale, la mia avventura a Parma è iniziata quando il socio di maggioranza era un gruppo cinese, a cui è succeduto il ritorno dei sette imprenditori parmigiani che avevano rifondato il club (Guido Barilla, Giampaolo Dallara, Mauro Del Rio, Angelo Gandolfi, Marco Ferrari, Giacomo Malmesi, Paolo e Pietro Pizzarotti, ndr) e che hanno ceduto la società all’attuale proprietà americana. Pertanto, ho maturato una certa esperienza in contesti proprietari differenti ed è stato ed è tuttora stimolante comprendere le diverse culture aziendali e apprendere differenti approcci strategici ed operativi. La domanda però è generale, per cui rispondo cercando di combinare elementi derivanti dalla mia personale esperienza con le impressioni raccolte da parte di altri dirigenti di club a proprietà straniera.».
D. Prego.
R. «Un primo elemento caratterizzante delle proprietà nordamericane è l’obiettivo di creare valore in un orizzonte temporale di medio – lungo termine, naturalmente salvo per i fondi per cui la prospettiva è, per ovvie ragioni, differente. Anche da questo caposaldo consegue l’attenzione verso la programmazione, declinata sia in termini di pianificazione economico – finanziaria sia in termini di strutturazione dell’organizzazione del club in entrambe le componenti, sport e corporate. I nuovi investitori hanno, inoltre, introdotto prospettive innovative e portato esperienze manageriali di altre realtà dello sport professionistico e non, contribuendo ad arricchire i modelli di gestione dei club. Ulteriormente c’è una grande sensibilità in merito alla funzione dell’analisi dei dati a supporto delle decisioni strategiche ed operative. Nel mio ruolo di CFO, non posso che essere estremamente felice di questo approccio».