Dalla Bona si racconta: «Il Chelsea, il Milan, le follie e gli errori. Ma rifarei tutto. Ranieri? In due anni non gli ho mai sentito dire un “bravo”» | OneFootball

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·28 novembre 2025

Dalla Bona si racconta: «Il Chelsea, il Milan, le follie e gli errori. Ma rifarei tutto. Ranieri? In due anni non gli ho mai sentito dire un “bravo”»

Immagine dell'articolo:Dalla Bona si racconta: «Il Chelsea, il Milan, le follie e gli errori. Ma rifarei tutto. Ranieri? In due anni non gli ho mai sentito dire un “bravo”»

Dalla Bona si racconta. Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l’ex centrocampist ripercorre una carriera iniziata in Premier League e segnata da scelte difficili

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Sam Dalla Bona ha ripercorso la sua storia calcistica: dalla fuga in Inghilterra a 16 anni, al difficile ritorno in Italia, passando per il Milan, il Napoli e una vita privata vissuta senza freni. Un viaggio intenso, pieno di sliding doors e di emozioni contrastanti.

LA FUGA AL CHELSEA«Ero in Scozia per l’Europeo Under 16, maggio 1998. Giocai da dio. Dopo la finale persa, accanto al pullman, trovai Vialli. “Ora che vuole?”, pensai. Avevo 16 anni. Mi disse che il Chelsea era a caccia di giovani forti e che mi avrebbe voluto con lui. Scoppiò un casino. Scappai dal collegio la notte di Ferragosto per andare a firmare a Londra».


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L’IMPATTO CON LONDRA«Traumatico. Non parlavo una parola di inglese. Il Chelsea ci concesse un insegnante privato che non conosceva l’italiano e andava spedito. A volte non capivo e lo prendevo a parolacce. Infine è stato difficile guadagnarsi il rispetto degli altri. Debuttai con Vialli nel 2000, ma fu Ranieri a darmi fiducia. Avevo diciott’anni, ero circondato da gente come Hasselbainck, Desailly, Zola, Di Matteo, il mio amico Cudicini, Wise, Terry. A volte qualcuno mi guardava e pensava: “Ma chi è questo qui?”».

RANIERI«In due anni non gli ho mai sentito dire un “bravo”, ma è stato fondamentale, un mentore. E anche Vialli. Prima del debutto mi chiamò mentre era in bagno, sulla tazza, e mi disse che mi avrebbe portato con lui contro il Coventry. Ero un po’ imbarazzato».

IL CHELSEA E GLI ANEDDOTI«Una volta partecipammo a una festa in maschera, fuori Londra. Il giorno dopo Ranieri mi chiese: “Ao’, cos’avete fatto?”. Eravamo storditi. Al Chelsea non c’erano né ritiri, né diete. Noi italiani mangiavamo bresaola e risottino, gli inglesi e gli stranieri di tutto. Ricordo ancora la carbonara di Hasselbaink prima di una partita importante. Ranieri gli chiese cosa stesse facendo. E lui: “Tranquillo, segno lo stesso”».

IL RIMPIANTO DI AVERE LASCIATO LONDRA«Sì. Era un calcio diverso, più libero, senza pressioni. Panucci e Ranieri mi avevano avvertito di non tornare. Nel 2001 rifiutai un’offerta del Venezia e il club mi mise fuori rosa. Dopo due mesi Claudio mi reintegrò, ma a fine stagione lasciai. Ci penso ancora oggi: sarei dovuto restare lì a vita. Braida mi anticipò alle 11 che sarebbe stato a Stamford Bridge per Chelsea-Fulham. Spinto dalla famiglia, dall’agente e dagli amici, accettai».

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L’ESPERIENZA AL MILAN«La sfida col Real, giocata da titolare al Bernabeu, mi segnò. Giocai un tempo, e male. Ancelotti mi schierò esterno destro, di fronte avevo Roberto Carlos che andava a tremila. Presi un giallo dopo un quarto d’ora e poi uscii. Era un test. Se l’avessi passato, allora ok, avrei continuato. Purtroppo, il calcio italiano è questa roba qui. Vieni giudicato subito».

LE CRITICHE AL CALCIO ITALIANO«Magari ho esagerato, ma ciò che gira intorno a questo mondo è nocivo, dannoso. Qui un giorno sei scarso, un altro sei il migliore. E questo sì, fa schifo».

LA FINALE DI CHAMPIONS 2003«Vidi la finale con la Juve dalla tribuna. Ricordo una discussione tra Inzaghi e Sheva durante la rifinitura, si presero a male parole. Maldini si avvicinò e gli disse di fermarsi. Un capitano vero. Pippo, invece, era un cannibale: prima della finale provò i movimenti da solo in un campo da golf».

NAPOLI«Un anno al top, gli altri due da emarginato. Nel 2006-07 centrammo la promozione in A, ero titolare, poi non ho più giocato. In estate rifiutai il Birmingham l’ultimo giorno di mercato. Li mandai a quel paese perché mi avevano preso in giro, Reja in primis. E a gennaio si presentò il Cagliari: non mi lasciarono andare».

LA PRESUNTA DEPRESSIONE«Mai vero: nel 2011 avevo già deciso di smettere. Scelsi una squadra più vicino a casa per stare vicino a lui, quello sì, ma dopo il suo funerale andai a fare allenamento a Mantova».

L’ADDIO AL CALCIO A 31 ANNI«Quel mondo non mi piaceva».

“IL CALCIO MI HA ABBANDONATO”«Un po’, ma potevo fare di più. Sono uno onesto. E l’ho pagata».

VIZI, FOLLIE E VITA PRIVATA«Un’estate, dal nulla, dissi: ‘Voglio fare tre mesi alla Bobo Vieri’. Feste e discoteche. Avrò speso 50mila euro. La banca temeva che mi avessero clonato la carta. E poi, sono sincero, mi sono sempre piaciute le donne: ho avuto due grandi amori, poi mi sono divertito. Al Milan ero in camera con Borriello, il bellone del gruppo, e uscivamo insieme. “Lasciamene una, bomber”, gli ripetevo. Andava forte».

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