Calcionews24
·3 giugno 2025
Inter Champions League, dal sogno al precipizio: cosa succede dopo un ko in finale. Gli esempi di Manchester United, Bayern, Atletico Madrid e Juventus

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·3 giugno 2025
La sconfitta per 5-0 contro il Paris Saint-Germain nella finale di Champions League del 31 maggio 2025 all’Allianz Arena rappresenta per l’Inter non solo una cocente delusione, ma un vero e proprio trauma. Un passivo storico, una lezione severa che impone una riflessione profonda. La storia del calcio europeo, dagli anni 2010 in poi, è costellata di esempi di squadre che, dopo aver accarezzato il sogno della coppa più ambita e averla poi vista sfuggire, sono entrate in un tunnel di crisi più o meno prolungata. L’Inter, in questo momento di amara digestione del 5-0, deve guardarsi bene da queste ombre del passato. Il monito è chiaro: non fare come loro.
Una delle prime grandi squadre a subire un colpo significativo dopo una finale persa è stato il Manchester United di Sir Alex Ferguson. Dopo aver raggiunto tre finali di Champions League in quattro anni, perdendo due volte contro il Barcellona (2009 e 2011), i Red Devils subirono un contraccolpo. La sconfitta per 3-1 a Wembley nel 2011, contro un Barcellona al suo apice, segnò quasi la fine di un’era. Sebbene lo United vinse la Premier League la stagione successiva (2012-2013), fu l’ultima sotto la guida di Ferguson.Ciò che colpisce è il post-Ferguson: dopo il ritiro del leggendario manager nel 2013, il club è entrato in una spirale di crisi profonda, faticando enormemente a ritrovare la propria identità e il proprio posto ai vertici del calcio europeo e inglese. La sconfitta del 2011, per quanto non direttamente la causa del ritiro di Ferguson, simboleggiò forse il punto di non ritorno di quella generazione, aprendo la strada a un decennio di instabilità manageriale e di performance altalenanti, con una caduta anche dal punto di vista del prestigio internazionale. La squadra fallì nell’obiettivo di superare la fase a gironi di Champions League nella stagione successiva (2011-2012), retrocedendo in Europa League, un segnale di una crisi incipiente.
Il Bayern Monaco del 2012 rappresenta un caso particolare, perché il crollo iniziale si trasformò in un trionfo. I bavaresi persero la finale di Champions League in casa, all’Allianz Arena, contro il Chelsea ai rigori. Fu una sconfitta doppiamente bruciante, che valse al club il soprannome ironico di “Vizekusen” (un gioco di parole su Leverkusen, noto per essere arrivato secondo molte volte). La stagione 2011-2012 si concluse senza trofei, un vero fallimento per gli standard del Bayern.Tuttavia, anziché sprofondare in una crisi, il Bayern usò quella sconfitta come catalizzatore. L’anno successivo, sotto la guida di Jupp Heynckes, il club realizzò un leggendario “Triplete” (Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League), battendo in finale proprio un’altra squadra tedesca, il Borussia Dortmund. Questo esempio mostra come una sconfitta in finale possa fungere da spinta, ma solo se c’è una reazione interna forte, unita a un progetto tecnico e societario solido.
L’Atlético Madrid di Diego Simeone ha vissuto il trauma di perdere due finali di Champions League, entrambe contro il Real Madrid, nel 2014 e nel 2016. La sconfitta del 2014 fu particolarmente crudele, con il gol del pareggio del Real all’ultimo minuto dei tempi regolamentari. Anche se l’Atlético ha mantenuto la sua identità e competitività in Liga e in Europa League negli anni successivi, il mancato trionfo in Champions ha lasciato un segno.Le due finali perse hanno impedito al club di fare il definitivo salto di qualità a livello internazionale in quel periodo. Pur continuando a vincere campionati e Europa League, quella Champions League negata ha creato una sorta di “blocco psicologico” nella competizione, rendendo il percorso più arduo e alimentando il senso di un’occasione sprecata che ha sempre aleggiato sul club. La squadra non è crollata in termini di risultati immediati, ma ha mancato l’opportunità di consolidarsi stabilmente tra le primissime forze a livello continentale per un lungo periodo.
La Juventus ha perso due finali di Champions League nel giro di tre anni, contro Barcellona (2015) e Real Madrid (2017). Entrambe le sconfitte, in particolare il 4-1 contro il Real, hanno mostrato un divario di qualità nel momento decisivo. La Juventus non è “crollata” in senso stretto, continuando a dominare il campionato italiano per anni dopo quelle finali.Tuttavia, l’ossessione per la Champions League non vinta ha portato a decisioni controverse e a una certa instabilità a lungo termine. L’arrivo di Cristiano Ronaldo nel 2018, ad esempio, fu una mossa clamorosa dettata proprio dalla volontà di vincere la Champions. La mancanza di successo in Europa, unita agli ingenti investimenti e alla successiva crisi finanziaria e sportiva che ha colpito il club negli anni post-Cristiano Ronaldo, può essere vista come una conseguenza indiretta di quella frustrazione europea. Il “fallimento” in Champions ha generato una pressione enorme che ha portato a scelte rischiose e, a lungo termine, a un indebolimento del progetto sportivo e finanziario.
Il 5-0 subito dall’Inter contro il PSG non è solo una sconfitta, ma un trauma. La lezione che l’Inter deve trarre da questi esempi è chiara: la sconfitta in finale può essere un trampolino di lancio (come per il Bayern) o l’inizio di una parabola discendente. Tutto dipende dalla capacità di reagire. Per l’Inter, è fondamentale non lasciarsi logorare dalla delusione storica, non permettere che si trasformi in un “blocco psicologico” o in un alibi.La dirigenza, lo staff tecnico e i giocatori devono affrontare questa umiliazione non come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza per una ricostruzione mentale e tattica. Evitare la tentazione di smantellare eccessivamente, mantenere un nucleo solido e imparare dagli errori commessi in quella fatale serata. Il rischio è cadere nella trappola di una crisi identitaria e di risultati, come accaduto ad altri grandi club. L’Inter ha la possibilità di dimostrare che, anche dopo la sconfitta più amara, può trovare la forza per tornare a competere ai massimi livelli, senza che il ricordo di quel 5-0 diventi un’ombra insormontabile.