Le big al bivio: gli sfondoni di Inter e Juventus per le panchine e i nuovi dirigenti di Milan e bianconeri tra mercato e bilancio | OneFootball

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·7 giugno 2025

Le big al bivio: gli sfondoni di Inter e Juventus per le panchine e i nuovi dirigenti di Milan e bianconeri tra mercato e bilancio

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A parte Napoli e Bologna (oltre al Como che ha vissuto la vicenda Fabregas), tutte le squadre piazzatesi nelle prime undici posizioni in classifica stanno mutando pelle: chi in maniera profondissima cambiando l’intera catena di comando dirigenziale (Juventus), chi i massimi dirigenti dell’intera parte sportiva (Milan), chi invece modificando più o meno solo la guida tecnica come nel caso di Atalanta, Fiorentina, Inter, Lazio, RomaTorino.

Questo significa che mai come quest’anno le scelte che si compiranno in estate potrebbero mutare gli equilibri per il prossimo campionato, visto che, almeno per quanto concerne le papabili per il primo posto, soltanto il Napoli potrà continuare nel solco di quanto tracciato nel torneo scorso.


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Il questo momento è evidente come il caso più eclatante sia quello dell’allenatore dell’Inter, piombata nel giro di sette giorni dalla speranza del paradiso a una sorta di inferno. Soltanto una settimana fa la società nerazzurra sognava di laurearsi campione d’Europa dopo aver compiuto un percorso esaltante in Europa ed avere eliminato colossi quali Bayern Monaco e Barcellona. Invece dopo la debacle dell’Allianz Arena col PSG la settimana è andata quasi peggio di quella umiliazione subita sul campo.

Martedì 3 giugno Simone Inzaghi ha comunicato di voler andare ad allenare l’Al Hilal in Arabia Saudita e di lì è iniziata in casa nerazzurra una affannosa caccia a un nuovo allenatore che prima ha portato al no del Como per liberare Cesc Fabregas, poi al ventilato diniego del Genoa per Patrick Vieira costringendo in tal modo la dirigenza nerazzurra ad approdare a Christian Chivu. Un eroe del Triplete, sia chiaro, e ben noto in casa Inter non foss’altro perché sino alla passata stagione guidava la Primavera ma la cui nomina è evidentemente una scelta di palesissimo ripiego non foss’altro perché il rumeno ha sulle spalle solo tredici partite in Serie A e ora sarà chiamato a reggere il peso di San Siro e di una squadra che necessariamente dovrà partire per puntare al primo posto.

È ovvio che al momento nessuno può dire che Chivu non sarà all’altezza ma certamente la scelta dei manager interisti rappresenta un salto nel buio con l’aggravante che a gestire la questione è stata la coppia Marotta-Ausilio che tanto bene in questi anni ha fatto all’Inter sia sul fronte economico che su quello della competitivà sportiva (e in questa sede se ne è sempre dato atto) ma che evidentemente su questo tema ha preso uno sfondone gestionale che potrebbe mettere in serio pericolo l’intera prossima stagione.

L’INTER E L’IMPREPARAZIONE NELLA SCELTA DEL POST-INZAGHI

Non solo, la gestione della vicenda ha anche sicuramente denotato una certa sottovalutazione del pericolo che Inzaghi lasciasse Appiano Gentile e quindi una certa mancanza di controllo su quanto sobbolle sottotraccia alla Pinetina. Ora c’è chi sostiene che anche nella testaa di Inzaghi tutto è cambiato dopo il 5-0 subito a Monaco di Baviera, ma le voci di un possibile addio c’erano da prima e la dirigenza sicuramente non si è preparata adeguatamente a una eventualità per quanto considerata remota. Una impreparazione confermata tra l’altro dallo stesso presidente nerazzurro: «Siccome nel calcio regna l’imprevedibilità, noi abbiamo assistito a una dichiarazione del nostro allenatore che ci ha detto di ritenere concluso il ciclo dell’Inter e di preferire un’esperienza alternativa – le sue parole durante il Festival dello Sport nel panel “La sostenibilità economica dei club” con Banca IFIS -. La vicinanza della finale ci ha portato a non toccare l’argomento prima della finale, ma anche Inzaghi questa decisione l’ha presa sicuramente il lunedì successivo alla sconfitta. Nessuna confusione, abbiamo semplicemente incassato una decisione che ci ha trovato parzialmente impreparati e automaticamente ci siamo mossi».

Si dice anche che la dirigenza avesse le mani legate sino alla finale e quindi non ha potuto partecipare appieno alla corsa su Allegri, che si è legato al Milan prima di PSG-Inter quando ormai era diventato chiaro che Antonio Conte sarebbe rimasto a Napoli. Non è un mistero d’altronde che sia De Laurentiis sia Marotta apprezzino non poco il tecnico livornese.

Però per quanto la presentazione di Simone Inzaghi all’Al Hilal non sia stata esente da gaffe (una su tutte le immagini dei gol del fratello Filippo), è difficile pensare che un contratto da 26 milioni a stagione possa essere definito e stipulato nei dettagli nel giro di appena quattro giorni, quelli intercorrenti tra sabato 31 maggio, giorno della finale, e mercoledì 4 giugno, data della presentazione di Inzaghi al nuovo club.

Da ultimo, ma non secondario, a Milano non sono in pochi a rammentare che la dirigenza interista era già caduta in una situazione simile, non capendo appieno quanto sobbolliva tra i giocatori, nell’estate 2023 quando fidandosi ciecamente delle parole di Romelu Lukaku lavorò speditamente per rinnovare il contratto del centravanti belga, quando questi stava in realtà trattando con la Juventus (per poi invece approdare alla Roma al termine del mercato).

Questo sfondone da parte di manager tra i più celebrati dal nostro calcio ha attutito (non però nella tifoseria juventina) una situazione analoga vissuta a Torino. I bianconeri, al tempo Damien Comolli non era ancora giunti e con Cristiano Giuntoli in odore di uscita a gestire le cose tecnico era soprattutto Giorgio Chiellini, avevano puntato tutto su Antonio Conte come nuovo allenatore, senza però avere un piano B. E così dopo la decisione del tecnico salentino di restare al Napoli, il club torinese ha abbozzato una corte a Giampiero Gasperini (che però ha preferito mantenere la parola data e andare alla Roma) ed è quindi stato quasi costretto a tenere Igor Tudor sulla panchina. Anche in questo caso evidentemente una scelta di ripiego. Però Chiellini ha l’attenuante di essere un neofita in questo ruolo, Marotta e Ausilio no.

DALLA PANCHINA ALLA SCRIVANIA: I CAMBIAMENTI DEL MILAN E IL TEMA BILANCIO

Lasciando da parte il tema allenatori ed entrando nelle operazioni sulle cabina di comando dirigenziali dei club, i cambiamenti maggiori sono avvenuti sinora nelle due più grandi deluse della scorsa stagione: il Milan e la Juventus. Sia rossoneri che bianconeri nell’estate 2024 erano partiti con ambizioni di primo posto, poi i primi sono usciti dalla lotta per il titolo quasi subito terminando il campionato in ottava posizione e quindi non qualificandosi per le coppe europee (il che porta enormi problemi economici nel bilancio successivo). I secondi invece hanno agganciato solo all’ultima giornata la qualificazione alla Champions League.

Nello specifico dei rossoneri si era avvertito in un precedente appuntamento di questo spazio editoriale come per il Milan e per il piano di Gerry Cardinale sul club sia necessario allestire quest’anno una squadra in grado di tornare immediatamente nella redditizia Champions League. Pertanto urgevano scelte immediate alla guida della parte sportiva.

Ora, non si può dire che le decisioni non siano state prese e sono andate nella direzione di nominare un manager esperto come Igli Tare quale direttore sportivo e Massimiliano Allegri come allenatore. Una scelta quest’ultima vista proprio come garanzia di ottimo piazzamento in campionato visto che, tranne che nel 2013/14 (in cui è stato esonerato dal Milan) e nel 2022/23 (in cui ha chiuso al terzo posto sul campo ma la penalizzazione di 10 punti per il caso plusvalenze ha portato il club a finire il campionato al settimo posto), dal 2010/11 ha sempre portato le sue squadre in Champions League.

Il punto però sarà capire quali saranno le intenzioni di Cardinale per il prossimo mercato: insomma se seguirà la linea di De Laurentiis nel 2024, quando scommettendo tutto sulle abilità di Conte, il presidente partenopeo non lesinò spese per allestire una squadra in grado di puntare immediatamente al primo posto e quindi non avendo paura di registrare un impatto a bilancio negativo per oltre 50 milioni di euro nel mercato estivo 2024/25 (poi pareggiato a gennaio con la cessione di Kvicha Kvaratskhelia). Oppure se chiederà a Tare un mercato oculato proprio perché il bilancio 2025/26 senza gli incassi derivanti dalle coppe non sarà semplice in termini economici.

Sinora le mosse del Milan si sono indirizzate nel solco di salvaguardare il bilancio 2024/25 da una possibile perdita. Nonostante l’amministratore delegato Giorgio Furlani avesse assicurato che la società non avesse necessità di sacrifici, il Milan, approfittando della finestra di mercato di giugno, è ormai prossimo a cedere Tijjani Reijnders al Manchester City sulla base di 55 milioni di euro fissi più bonus, per un totale di 70 milioni di euro complessivi. Denari che dovrebbero portare a un impatto positivo di oltre 38 milioni di euro tra plusvalenza e la percentuale sulla stessa da retrocedere all’AZ Alkmaar.

Questa vendita sposterebbe notevolmente il risultato dell’esercizio che scade al 30 giugno, visto che secondo le stime di Calcio e Finanza il bilancio del Milan si sarebbe dovuto concludere in perdita. Invece con la cessione del centrocampista olandese la società potrà proseguire la tendenza registrata nelle ultime due stagioni nelle quali ha fatto segnare consecutivamente un utile a bilancio e registrare nel 2024/25 un profitto nell’ordine dei 13-14 milioni di euro. Va detto inoltre che proprio perché il mercato è aperto sino al 10 giugno i risultati rimangono comunque in evoluzione, viste anche le voci su Theo Hernandez e Mike Maignan, che però sono entrambi in scadenza nel 2026 e difficilmente potranno portare cifre enormi nella casse societarie.

La vera partita però si giocherà dall’1 luglio, quando inizierà ufficialmente la stagione 2025/26 e con essa il nuovo esercizio di bilancio. E se il margine di manovra per la stagione 2024/25 ha consentito al Milan di chiudere il bilancio in equilibrio, più complicata sarà sicuramente la stagione 2025/26, quella in cui i rossoneri non potranno contare sui ricavi provenienti dalle competizioni UEFA. Facendo un paragone con la stagione attuale, al club di RedBird mancheranno circa 80 milioni di euro tra i premi per la qualificazione e i risultati raggiunti in Champions League, oltre agli incassi da stadio per le sfide casalinghe della competizione.

Insomma, al di là delle parole di circostanza, sarà da lì che nei fatti si capirà se Cardinale opterà per una linea stile De Laurentiis oppure per una strategia più conservativa.

JUVENTUS TRA RIVOLUZIONE IN DIRIGENZA E SOSTENIBILITÀ

A 150 chilometri più a ovest, in casa Juventus, la proprietà ha deciso di varare una vera e propria rifondazione dirigenziale soltanto un anno dopo la rivoluzione tecnica targata Giuntoli e Thiago Motta. I due dirigenti apicali ad immediato riporto dell’amministratore delegato Maurizio Scanavino (che nel frattempo ha lasciato la guida di Gedi per concentrarsi solo sulla Juventus), ovvero l’ex Managing Director Revenue & Institutional Relations Francesco Calvo e l’ex Football Director Giuntoli hanno lasciato il club. Il primo per approdare agli inglesi dell’Aston Villa, il secondo è al momento libero dopo la risoluzione del contratto che lo legava alla Juventus.

Come spesso è avvenuto nella ricerca di manager per le controllate del suo impero editoriale, John Elkann ha guardato all’estero per trovare nuovi talenti (e non sempre gli è andata bene vista ad esempio, per restare nel calcio, l’esperienza di Jean-Claude Blanc alla Juventus) e ha assunto quale direttore generale il francese Damien Comolli, il quale curiosamente era sino a qualche settimana fa presidente del Tolosa, club posseduto dalla RedBird di Cardinale.

E in questo quadro sarà sfizioso vedere se fosse nel giusto Cardinale a non ritenere Comolli un manager ideale per gestire il Milan oppure se ha ragione Elkann ad affidargli la Juventus. Per quanto concerne l’incarico di direttore sportivo (che era di Giuntoli) il casting è ancora in corso e vede tra i papabili l’ex Milan Frederic Massara oltre alle voci sull’ex Bayern (oltre che ex calciatore bianconero) Hasan Salihamidzic. Anche se, come si diceva, su questo lato avrà sempre più peso anche Chiellini.

Quel che è certo è che la qualificazione alla Champions League, per quanto ottenuta all’ultima giornata e non senza ansie, ha dato notevole sollievo alle casse bianconere dopo che nelle settimane scorse la holding Exor della famiglia Agnelli Elkann era dovuta intervenire con un esborso di 15 milioni per puntellare i conti (portando a oltre 650 milioni quanto iniettato nella controllata bianconera negli ultimi 14 anni solo negli aumenti di capitale), in attesa di capire come si sarebbe conclusa la stagione: in caso di mancata qualificazione in Champions, il nuovo aumento di capitale fino a un massimo di 110/120 milioni sarebbe stato pressoché automatico.

Ora tuttavia, visti i prossimi incassi legati alla massima competizione europea, insieme a quelli del Mondiale per Club che inizierà la prossima settimana e quelli dei nuovi sponsor Jeep e Visit Detroit, è possibile pensare che l’aumento di capitale, già previsto nel novero delle possibilità, possa non essere necessario (o quantomeno non nelle cifre massime di cui sopra), evitando un altro esborso agli azionisti e alla proprietà. D’altronde infatti già i circa 60 milioni che garantirà la partecipazione alla Champions League potranno aiutare a ristabilire l’equilibrio in termini di patrimonio, e altrettanto potrebbe fare anche eventualmente qualche cessione sul mercato.

Anche se è ovvio che anche come nel caso del Milan anche in casa Juventus molto dipenderà da quale tipo di mercato si vorrà imbastire da luglio in poi. Anche se va detto sin da subito, che la linea dettata da Elkann per la controllata bianconera, è quella della sostenibilità economica.

In questo quadro però non va sicuramente tralasciato un particolare per quanto concerne i nuovi sponsor. Per quanto le negoziazioni e i contratti si siano conclusi a cifre in linea con il mercato non si può non vedere la mano di Elkann nell’aver trovato brand che immettessero denari nel club. Jeep è un marchio di Stellantis, colosso automobilistico di cui il nipote dell’avvocato Agnelli non solo è il presidente ma della quale è anche il primo azionista tramite la holding Exor, di cui lo stesso Elkan è amministratore delegato. Per quanto concerne invece Visit Detroit, ente privato che promuove a livello nazionale e internazionale la regione metropolitana di Detroit, dove ha sede e grandi stabilimenti la Chrysler (una delle tre gambe di Stellantis insieme a Fiat e Peugeot), soltanto chi non è mai stato nel Michigan può essere tanto ingenuo da non vedere quanto possa pesare la moral suasion di uno dei proprietari di Chrysler sulle decisioni di investimento di un’ente della città nordamericana.

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