Calcionews24
·3 dicembre 2025
Manfredini ripercorre la sua carriera: «Dall’adozione alla Juventus, fino al Chievo dei miracoli: vi racconto la mia storia»

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·3 dicembre 2025

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Christian Manfredini, ex esterno classe 1975 affermatosi in Serie A con Chievo e Lazio, ha raccontato le tappe più significative della sua vita calcistica e personale.
Dall’adozione al sogno Juventus, passando per gli anni d’oro del “Chievo dei miracoli”, il giocatore ha offerto una serie di ricordi intensi e spesso inediti.
L’ADOZIONE – «All’epoca non c’erano tanti bambini di colore, io venivo sempre visto in modo strano, come se fossi una novità. Non lo vedevo come qualcosa di brutto. I miei primi amici si meravigliavano per il mio colore della pelle, mia mamma mi diceva “ti guardano tutti perché sei bello”. Poi crescendo ho capito il perché».
LA JUVENTUS – «I miei genitori mi hanno sempre dato la serenità di poter decidere, anche di giocare a calcio a 500 metri da casa. Ho cominciato alla Spes Battipaglia e a 13 anni mi chiamò la Juve. Mia mamma disse subito di no, poi si convinse: quello fu il secondo atto di amore nei miei confronti. Il primo fu l’adozione».
LA PRIMAVERA BIANCONERA – «Con la Primavera vinsi scudetto e Torneo di Viareggio. Del Piero era già nel giro della prima squadra, anche se qualche partita con noi la fece. Era di un altro livello. Trapattoni non amava molto i giovani, lui era uno della vecchia guardia. Per me il massimo è stato allenarmi con la prima squadra e fare una panchina contro il Piacenza in Serie A».
CROTONE – «La Juventus voleva mandarmi a Crotone. Io rifiutai perché stavo con una ragazza di Pistoia, che oggi è mia moglie. Abbiamo due figli, Allegra e Christian Jr: lui però gioca a basket».
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IL SEGRETO DEL CHIEVO – «Il lavoro, oltre a un gruppo straordinario. Giocavamo a memoria. Anche se i due condottieri di quella squadra rimangono Eugenio Corini e Delneri».
I RISULTATI – «La qualificazione in Coppa Uefa a fine anno fu la ciliegina sulla torta. Eravamo una neopromossa, per due mesi e mezzo guardavamo tutti dall’alto verso il basso. Poi alla lunga i valori tecnici vennero fuori e calammo di rendimento. Vincemmo a San Siro contro l’Inter, fu una delle nostre migliori prestazioni».
POTEVA ESSERE IL LEICESTER D’ITALIA – «Forse, ma le dico una cosa. Quando il Leicester vinse la Premier tutte le big fecero male. Per noi fu il contrario: le grandi partirono male e poi si ripresero alla lunga».
LUPATELLI CON LA 10 E DELNERI – «Nella distribuzione delle maglie a inizio anno nessuno prese quel numero. Così arrivò Lupo e disse “è mia”. Noi all’inizio pensavamo stesse scherzando». «Il mister era una sorta di Zeman. Facevamo doppie sedute. In campo eravamo una squadra battagliera, grintosa. Sapevamo sempre cosa fare con la palla».
ERIBERTO E LA DOPPIA IDENTITÀ – «Eriberto è un amico. Nessuno avrebbe mai immaginato della sua doppia identità. Io lo scoprii poco prima che la notizia uscisse. Me lo comunicò la Lazio quando firmai il contratto, lui doveva trasferirsi con me».
IL GOL AL REAL MADRID CON L’OSASUNA – «Era l’esordio. Io vivevo ancora in albergo, il giorno prima della partita andai a fare una passeggiata e al mio ritorno vidi polizia, transenne e migliaia di persone attorno al mio albergo. Feci per entrare ma mi bloccarono. Alla fine, riuscii a rientrare e la sera cenai da solo al ristorante con a fianco i giocatori del Real, Figo, Zidane, Raul… Il giorno dopo gli segnai contro».
RAZZISMO – «Episodi pesanti in realtà no. Io ho avuto la fortuna di cominciare a giocare alla Juventus, tutti mi vedevano come “calciatore” e non come “uomo nero”. Un aneddoto divertente però ce l’ho… Ero in giro per Roma, a un certo punto vidi un taxi e lo chiamai. Mi si avvicinò con dentro già una persona e io domandai: “Quando esce la signora posso salire?”. Il taxista mi guardò con aria diffidente e rispose: “Eh, tu stare calmo, tu aspettare”. A quel punto mi si chiuse un po’ la vena e risposi: “Ascoltami, io voglio il taxi, se tu non vuoi compro te, il taxi e ce ne andiamo assieme”. In quel momento ero famoso, mi sentivo grande. Non una bella scena da parte mia».
LE SCOMMESSE CON INZAGHI E TARE – «Scommettevamo su qualsiasi cosa e ogni volta c’era un vincitore diverso. Ci giocavamo 50 euro su chi riusciva a bere tre litri di acqua o tè freddo in due minuti. Ci divertivamo un sacco, non sa quante risate».
LOTITO – «Claudio è una persona diretta. Vive lo scontro: se non hai forza contrattuale, ti schiaccia. Non guarda in faccia nessuno. Alla Lazio ho vissuto comunque anni bellissimi, ho tanti ricordi positivi».
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