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·26 ottobre 2025

Napoli, Conte e il paradosso delle parole: i dirigenti devono parlare o no?

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Dal Borussia Dortmund all’Inter, fino a Napoli: come è cambiato (davvero) il pensiero del tecnico salentino. Lo riporta la Gazzetta dello sport

Napoli, Conte e il paradosso delle parole: i dirigenti devono parlare o no?

Dopo la vittoria del suo Napoli contro l’Inter e le successive dichiarazioni polemiche rivolte ai dirigenti nerazzurri, il tecnico leccese ha rilanciato un vecchio tema: il ruolo dei dirigenti nella comunicazione post-partita.


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“Non mi piace che ogni volta debba venire io a metterci la faccia”, ha detto ieri Conte, sottintendendo che certi interventi “tattici” da parte dei dirigenti – in difesa o in accusa – sarebbero fuori luogo.

Una posizione netta, ma non del tutto coerente con il passato. Perché lo stesso Conte, quando sedeva sulla panchina dell’Inter, pretendeva l’esatto contrario.

Dortmund 2019: “Qualcuno della società dovrebbe parlare ogni tanto”

Per capire il paradosso, bisogna tornare al 6 novembre 2019, notte di Champions League. L’Inter di Conte stava vivendo una delle sue prime grandi delusioni europee: avanti 2-0 a Dortmund, fu rimontata e sconfitta 3-2 dal Borussia. Al termine della partita, il tecnico non si limitò a criticare la prestazione, ma puntò il dito sulla società.

“Siamo arrivati al limite, non si possono fare miracoli… Non voglio alibi, ma non mi piace che ogni volta debba venire io a metterci la faccia. Qualcuno della società dovrebbe venire qui a parlare ogni tanto”, dichiarò Conte.

Quelle parole, dirette e amare, segnavano un momento di forte tensione con i vertici nerazzurri, in particolare con Beppe Marotta, oggi al centro delle nuove polemiche. Conte, allora, chiedeva supporto comunicativo: voleva che la società si esponesse, che facesse da scudo, che condividesse il peso delle responsabilità.

Dal silenzio al microfono: la svolta (apparente) di Antonio Conte

Se nel 2019 lamentava l’assenza dei dirigenti, oggi Conte sembra vedere nella loro voce un’ingerenza. Il paradosso non è sfuggito ai tifosi interisti, che sui social hanno sottolineato la “memoria selettiva” del loro ex allenatore.

La verità, probabilmente, è più sfumata: l’attuale tecnico del Napoli adatta il discorso alle circostanze. Quando si sente sotto attacco o lasciato solo, invoca la presenza della società. Quando invece il bersaglio è un’altra panchina – come ieri, con Chivu e l’Inter – preferisce rivendicare il primato del campo e l’autonomia dell’allenatore.

Il precedente di Inter-Parma 2020: “È giusto che parlino i dirigenti”

Un altro episodio che mette in discussione la coerenza del tecnico risale al 31 ottobre 2020, dopo un Inter-Parma 2-2 segnato da un rigore negato a Perisic. In quell’occasione, a parlare fu proprio Marotta, denunciando il “vuoto regolamentare sul VAR”. Conte, invece di infastidirsi, approvò apertamente:

“Ha parlato il club, è giusto che parlino i dirigenti se hanno qualcosa da dire. Io analizzo la partita.”

Difficile, dunque, conciliare il Conte che oggi invita i dirigenti al silenzio con quello che, solo qualche anno fa, ne reclamava la voce pubblica. Come spesso accade nel calcio – e nella comunicazione – le posizioni si modulano a seconda del contesto, delle necessità e dei rapporti di forza interni.

Un gioco delle parti: la strategia comunicativa nella lotta scudetto

Il caso Conte, più che una contraddizione, sembra un gioco delle parti pirandelliano. Ogni parola, ogni accenno polemico, ogni frecciata all’ex società serve a indirizzare il racconto, spostare l’attenzione o alimentare la tensione competitiva. La lotta scudetto – tra Napoli, Inter e Milan – non si gioca solo sul campo, ma anche davanti ai microfoni. In questo, Antonio Conte resta fedele a sé stesso: stratega della parola, uomo di campo che sa usare la comunicazione come un’arma tattica.

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