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·18 novembre 2025

❗️ Orsolini: “Italia, troppe pressioni sui giovani. Bologna isola felice”

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L’attaccante esterno del Bologna Riccardo Orsolini ha rilasciato un’intervista a Cronache di Spogliatoio, riportata da TMW.

Nel calcio a volte ci si prende troppo sul serio? “Sì, anche per non sdoganare tutte quelle regole che sono un po’ troppo oppressive. Lo sport è divertimento, coesione, condivisione, anche allenare a volte, essere un po’ meno seriosi… Senza togliere che quando si fa un lavoro bisogna metterci il massimo rispetto e la massima determinazione, ma quel pizzico di simpatia aiuta a volte a lavorare meglio. Quanti talenti si sono rovinati per colpa di personaggi o situazioni extra campo… Lo sport dovrebbe tornare a respirare un po’ quell’aria sana di un tempo, ma purtroppo il calcio è cambiato, in meglio e in peggio. Questo è il rovescio della medaglia, sta anche al calciatore capire accanto a chi stare. Io sono stato abbastanza fortunato”.


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Mihajlovic è stata una persona determinante per lei? Di Leo ci disse che era seduto accanto a lui anche quando non giocava. “Di solito c’è il tavolo dello staff e quello della squadra, ma con Sinisa eravamo tutti mischiati e lui mi volle vicino a lui. Ero sempre con lui pranzo e cena, ma è stato bellissimo perché ho capito tanto della persona. Mi ha fatto capire il bene che mi voleva, mi aveva adottato come figlioccio, sono cose che rimandano quando guardi indietro e pensi al percorso che hai fatto, il ricordo che hai dell’uomo. L’ho sempre citato nelle mie interviste anche dopo la Coppa Italia, ho sempre avuto un pensiero per lui e la sua famiglia perché era come se un po’ ne facessi parte anche io, mi ha insegnato molte cose, mi ha bastonato, ma, anche quando lo faceva in modo brusco, aveva una sua finalità. Con il passare degli anni ripensi ad aneddoti, ricordi e quando me lo ricordate mi scappa sempre un sorriso, è un momento bello della mia vita calcistica. Lui ha dato stabilità a noi, abbiamo messo le basi e ci siamo impostati sul nostro percorso”.

Che ne pensa del percorso che avete fatto con il Bologna? “Se penso ai primi mesi al Bologna e quello che è oggi… Il merito è di tutti, i primi che hanno creduto in questo progetto sono stati quelli della società, i dirigenti e tutti gli addetti ai lavori che hanno fatto sì che potessimo crescere esponenzialmente ogni anno, cercando di imitare il modello Atalanta. Era un po’ quello l’obiettivo e oggi posso dire con estrema fermezza che ci siamo riusciti”.

In Italia non si punta sui giovani? “C’è questa ricerca quasi asfissiante del talento. Oggi l’Italia deve a tutti i costi avere un Lamine Yamal, un Mbappe… Appena vediamo uno un pochettino bravo, è un campione”.

Camarda e Pio Esposito subiscono forti pressioni. “Senza fare nomi, viene messa troppa, troppa pressione. Sono giovani, alcuni nemmeno maggiorenni. Se io penso che alle loro età avessi avuto delle pressioni del genere, non so come avrei reagito, è una cosa sbagliatissima. Devono avere tempo e modo di crescere, di sbagliare. Se uno non sbaglia, non capirà mai l’errore. A volte questa ricerca ostinata, ossessiva, compulsiva è un problema. Gli organi di formazione non li aiutano, il ragazzo va sempre coccolato, ma gli vanno fatte capire determinate cose. Mi voglio sentire importante, ma anche dimostrarlo. All’estero non si fanno problemi a mettere gente di 15 anni titolare, è la concezione del calcio che non va. Ci sono realtà come noi in Italia che non ragioniamo con la mentalità giusta. Tutto parte dai settori giovanili e da come vengono impostati i bambini. Il problema sta a monte, l’Italia non è mai stata priva di talenti”.

C’è più pressione ora rispetto al passato? “Il giovane di oggi è più fenomenino. Vedi i ragazzi arrivare al campo dopo mezzo campionato di Primavera con il telefono nuovo, le cuffiette, il borsellino di Louis Vuitton, gli occhiali da Sole… Sembrano già giocatori affermati da 15 anni, è la cosa più sbagliata che esista. Quelle distrazioni rubano linfa vitale, fame di arrivare. Il nonnismo oggi è scomparso e da una parte è giusto, ma ti aiutava a capire determinate cose. Io cerco sempre di stare con i più giovani, anche a Bologna siamo pieni, cerco di farli integrare e farli sentire importanti quando sono al centro del nostro sistema. Ti devi mettere nei panni dell’altro, quella è una cosa che aiuterà, ho sempre trattato gli altri come io volevo essere trattato”.

La svolta è arrivata con Thiago Motta per il Bologna. “È arrivato e ha portato altri cambiamenti a livello di campo, tantissime novità. Con lui siamo diventati una squadra bella da vedere, efficace e che portava risultati. Avevamo un gioco spumeggiante, abbiamo pensato un po’ di più alla parte estetica. Abbiamo raggiunto la storica qualificazione alla Champions, ci ha fatto arrivare nel punto più alto della storia recente del Bologna”.

C’è un aneddoto legato a Thiago Motta? “Era un pazzo rivoluzionario. Aveva delle idee sue di gioco, anche di allenamento, totalmente diverso da un approccio di un altro tecnico standard. Preparavamo poco gli avversari, ci concentravamo più su di noi, sul nostro gioco, poi facevamo anche video chiaramente… Improntavamo le sedute sul noi, eravamo un po’ presuntuosi, sfacciati. Ha segnato un passo importante perché nel primo anno ci siamo abituati a capire le metodologie, poi volevamo arrivare in Europa, ma abbiamo fatto meglio delle aspettative. Poi ha fatto un’altra scelta, ma ci ha lasciato delle basi importanti”.

Poi è arrivato Italiano. “Ha avuto l’intelligenza e la bravura di mettere insieme le sue conoscenze con quelle che già la squadra aveva per formare una macchina quasi perfetta. Ci siamo trovati fin da subito perché apprezzo tantissimo le persone schiette perché capisco quello che provi, sei vero e trasparente. All’inizio abbiamo avuto difficoltà, lui non riusciva a trasmetterci le sue idee e noi non le capivamo, ma poi ci siamo sciolti, ci siamo fusi ed è nato un connubio perfetto. La vittoria della Coppa Italia è stata la ciliegina sulla torta del percorso e siamo diventato lo squadrone”.

Thiago Motta le chiedeva di giocare con il sorriso. “Sono tutte cose che condivido. A volte può stemperare, può tranquillizzare, unisce. In campo essere concentrati, belli, cazzuti, ma con il sorriso aiuta tanto. Ho sempre affrontato le mie battaglie e quello è il modo giusto per me”.

Ci racconti la sua esultanza con il toc-toc. “È nata come una cosa goliardica, non era preparata. Stavo andando come al solito sotto la Curva, poi ho visto la telecamera gigante e ho detto: ‘Mo la sfondo’. E ho cominciato a bussare. Tutti avevano le sue teorie, ma io ho pensato che fosse un modo nuovo, carino, i bambini adesso la imitano. È un tratto distintivo. Avevo detto che era per un amico a casa perché non volevo creare polemiche, non pensavo riscontrasse così tanto successo, sono rimasto sorpreso”.

Ha sempre creduto alla Nazionale. “Quando arrivi a un punto della carriera, io la avevo già assaggiata, avevo fatto gol all’esordio, è stato forse l’apice del mio percorso. Quando feci la prima presenza, Vialli ti preparava il gagliardetto con il numero dell’esordiente che eri in Nazionale. Gianluca diceva sempre: ‘Azzurri una volta, Azzurri per sempre’. Non scorderò mai questa frase, anche tra 50 anni me la ricorderò, è una roba che sognavo”.

Com’è il tifoso del Bologna? “Molto rispettoso, in città giri tranquillo, ti lascia molto stare, c’è una pressione sana. Sono molto cordiali, discreti, di un’educazione unica. È quello che ti coccola, ma quando va allo stadio si fa sentire ed è il bello del tifoso bolognese. Sono contento dei sostenitori che abbiamo, non tutti possono vantare una tale educazione”.

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