Inter News 24
·28 novembre 2025
Zenga ripercorre la propria carriera: «Uomo Ragno, le vittorie e la nazionale. Ecco perché non sono tornato all’Inter»

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Walter Zenga è stato intervistato su Rai Play al format Una vita da campione, parlando di vari temi.
I PRIMI PASSI – «Papà giocava in porta ed era juventino. Smise per un menisco e la mia prima partita da allenatore col Brera è stata contro una delle squadre di papà», ha spiegato. «Quando parli di sacrifici parli del rapporto di coppia, di famiglia, gli amici veri restano nel tempo e si contano sulle dita della mano. Nella mia vita il tradimento più grosso lho subito da un mio amico. Nel rapporto di coppia dopo anni il tradimento è contemplato, ma un amico no. Ma quando pensi che non vedi gli amici il sabato sera, li vedi la domenica quando vengono a vederti giocare».
ZOFF – «La mia generazione è cresciuta con lui, con Alberttosi che giocava col maglione rosso, Vieri che giocava col berretto strano. Chiaro. Mi ricordo i Mondiali del 1970, Mazurkiewicz, portiere dell’Uruguay, vestito tutto di nero».
SALERNITANA E SAMBENEDETTESE – «Prima della Salernitana, la mia base di scuola per capire cosa non dovevi fare nella vita. Prima partita perso 4-0, lussato un dito e io al rientro paro un rigore e divento leader. Andavo in giro per Salerno fischiettando. Domenica giochiamo in casa col Pisa, stadio pieno, io gasato, prendo due gol dopo 10 minuti che mi viene da piangere ancora adesso. Ho chiesto di uscire dal campo e sono andato via. Una lezione importantissima. A San Benedetto io ho vissuto una tragedia del calcio italiano, non lo dimenticherò mai. L’incendio dello stadio Ballarin l’ultimadi campionato nella gara col Matera. Morirono due ragazze e anche quell’esperienza mi ha segnato tanto. Vedevamo dalla tribuna la gente fuggire, con le fiamme. Mi ricordo tutte le partite per episodi. Ma quella partita lì l’ho cancellata. Perché la vivi male: c’erano le ambulanze in campo, ci dicevano di poter giocare, abbiamo giocato dopo un’ora, una tragedia grandissima, due ragazze morte».
INTER – «Alla Macallesi io il vialetto me lo ricordo come se fosse ieri. Mio padre aveva una Citroen Squalo verde. Mi è venuto a prendere perché mi avevano chiamato perché ci aveva comprato l’Inter. Io dicevo ‘cavolo vado all’Inter’. Uno può diventare interista perché fa venti anni di carriera nell’Inter e perché tifa Inter. Ma non potete capire cosa vuol dire essere interista, che vuol dire per un ragazzo nato interista, che è di Milano, che giocava in una squadra di quartiere, come Dimarco del resto, fare la trafila, arrivare lì mettere piede a San Siro. E c’era la Curva dove tu andavi e pensi, adesso muoio per loro. Altro che soggezione. Finita la prima partita dico: “Già finita, giochiamo subito di nuovo”. Infatti quando mi chiedono la gara che vorrei rigiocare è la prima con l’Inter perché ne giocherei altre 473. Ti resta dentro, è una passione che ti porti dietro tutta la vita. Cambi moglie e città ma la squadra non la cambi».
UOMO RAGNO – «Il mio soprannome era il deltaplano, me lo diede Brera. Ma quando vengo escluso nel 1994 in Nazionale nello stesso momento esce il disco di Max Pezzali, Hanno ucciso l’Uomo Ragno. Io avevo questa tuta nera che si allacciava intrecciata di rosso e blu e sembrava davvero la tuta dell’uomo ragno. E quando mi chiesero un commento sull’esclusione della Nazionale io risposi: “Hanno ucciso l’Uomo Ragno chi sia stato non si sa forse Sacchi Materazzi, Carminiani chi lo sa” e me ne vado. L’Uomo Ragno nasce così».
LE VITTORIE ALL’INTER – «Io decisivo con il Salisburgo, con la Roma grande parata ma non andò come con il Salisburgo, lì ho fatto le uova. Sapevo che era l’ultima partita a Milano, volevo lasciarla con qualcosa di indimenticabile».
L’INTER DELLO SCUDETTO – «Da una sconfitta abbiamo capito che potevamo fare bene. Perdemmo con la Fiorentina sul neutro di Piacenza, c’era contestazione. Il giorno dopo riunione con Trapattoni, ci siamo detti delle cose e da lì siamo ripartiti. Riconoscere un fallimento e una sconfitta, non tutte sono negative, e poi c’era l’Olimpiade e abbiamo ricominciato ad ottobre, quindi dopo siamo ripartiti da lì ed è cominciata la cavalcata. Trapattoni? Cinque anni con lui, di grande crescita, sotto tutti i punti di vista. L’allenatore allora il sabato sera ti bussava, se lo fai adesso trovi la porta chiusa e non vai in ritiro».
MONDIALI 90 – «Sono dell’avviso che fortuna e sfortuna c’entrano poco. Non mi sono mai appellato a nessuna delle due. La finale dell’U21 persa ai rigori con la Spagna, Europeo perso in semifinale con la Russia, Mondiale perso in semifinale con l’Argentina. Senza mai perdere una partita, sei vittorie un pareggio e siamo arrivati terzi. Record di imbattibilità che resiste e nessuno se lo ricorda, peccato».
L’ITALIA – «Ricorrenze che sono strane. Con Prandelli abbiamo perso la finale dell’Europeo con la Spagna, con Mancini abbiamo vinto l’Europeo. C’è qualcosa che non puoi collegarlo perché se vinci l’Europeo, se l’U21 e l’U18 fanno bene non è tutto sbagliato ma c’è un tappo e bisogna capire da dove arriva. Penso che Gattuso sia la persona giusta. Se pensi a lui pensi al Milan ma uno dei pochi giocatori al mondo e in Italia mai odiato da nessuno. Tutti apprezzavano che ci metteva l’anima, la passione, il tempo, il carattere e i risultati così vengono perché gli altri ti seguono» .
VIALLI E MIHAJLOVIC – «Ho perso due grandi amici, Sinisa e Luca. Li bacio entrambi. Paolo Rossi è stato mio amico ma l’ho vissuto meno. Andy Brehme ho vissuto tanto ma con Sinisa e Luca avevamo legato tantissimo. Alla Stella Rossa Sinisa mi ha dato una grande mano. Luca era l’amico che sentivi dopo sei mesi e c’era, ti potevi fidare. E niente… non so più cosa dire (è commosso.ndr)».
ALLENATORE – «Io? Non mi sarei mai permesso. Alleno la prima volta a Catania nel 2006, Mourinho vince il Triplete con l’Inter nel 2010. Lo avevo già conosciuto tramite Mendes, è un mio idolo. Se ultimamente è in fase calante Mourinho vorrei esserlo anche io a questi livelli. Conosce tutto e tutti ed è questa la sua forza, non si ferma al campo ma di avere la conoscenza a 360 gradi di tutto quello che succede fuori».
ALLENATORE DELL’INTER – «Perché non c’è stato il modo, il momento e perché il mio percorso in quel momento lì era offuscato da allenatori più bravi. Io la mia carriera in Serie A l’ho fatta e non sono squadre di poco conto quelle che ho allenato in Serie A. Crotone, Palermo, Sampdoria, Cagliari se le ritengono squadre di poco conto si sbagliano. È stato un bellissimo viaggio».
PORTIERI MIGLIORI DELLA STORIA – «Io sto sugli italiani, Buffon, Donnarumma e Pagliuca. Perché? Sono italiani e sono amici miei. Ammiro Oblak dell’Atletico Madrid. Meret, Caprile, Carnesecchi e me ne scordo qualcuno. In porta siamo messi bene».
ALLENATORE CHE TI HA CAMBIATO LA CARRIERA – «Thomas Rongen negli States. Era l’allenatore che non faceva ritiro, molto soft, non fece giocare uno perché aveva messo le mani davanti agli occhi per il sole. Dopo una sconfitta era in spiaggia con la chitarra. Mi ha insegnato tanto».









































