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·6. September 2025

No alla Superlega per diventare una Super Lega: la Premier League ha sempre più in mano il calcio europeo

Artikelbild:No alla Superlega per diventare una Super Lega: la Premier League ha sempre più in mano il calcio europeo

Nell’aprile 2021 l’UEFA sventò il golpe lanciato dalla Superlega alzando il primo muro ancorandosi al no immediato del Bayern Monaco e del Paris Saint-Germain e poi seppe sovvertire la partita in virtù del cambio di direzione delle sei società inglesi coinvolte nel piano ribelle: Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United e Tottenham. Originariamente la Superlega era composta da 12 club (oltre ai sei inglesi c’erano anche Atletico Madrid, Barcellona, Inter, Juventus, Milan e Real Madrid) ed era quindi subito evidente che senza le società di Sua Maestà il progetto non sarebbe potuto proseguire.

Così quando il vento Oltremanica cambiò direzione il piano di organizzare una competizione al di fuori delle norme della UEFA si afflosciò su di sé perdendo prima i sei club di Premier League, poi Atletico Madrid e Inter, e in un terzo momento il Milan. Barcellona, Juventus e Real Madrid restarono quali uniche società superstiti per lungo tempo e di fatto lo sono ancora oggi, considerando che il club bianconero, passato nel frattempo dalla presidenza di Andrea Agnelli a quella di Gianluca Ferrero, ha provato ad abbandonare l’avventura nel 2023 lasciando soli i due colossi spagnoli, i quali però non hanno dato l’ok all’uscita della società torinese.


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Il punto è: cosa indusse i club di Premier League a cambiare idea?

L’INDIGNAZIONE POLITICA E IL PESO SUI CLUB INGLESI

Come spiegato da Calcio e Finanza a quei tempi, più che l’indignazione popolare, per quanto molto importante, poté la politica, quella con la P maiuscola, quella dell’interesse di Stato.

Se infatti non si può negare che Oltremanica sui social si scatenò la bufera contro la Superlega e vi furono manifestazioni di piazza in tutta l’Inghilterra, va onestamente notato che numericamente non furono certo paragonabili alle maree umane che per esempio accompagnano il pullman del Liverpool fuori da Anfield Road prima di un match importante.

Più cruciale invece fu l’intervento dell’allora primo ministro britannico Boris Johnson (il presidente Francese Emmanuel Macron e l’allora primo italiano Mario Draghi intervennero dopo). L’ex inquilino di Downing Street sapeva benissimo che la Premier League, il campionato nazionale più ricco al mondo, garantisce entrate significative all’erario di Sua Maestà. E quindi per il sistema Paese del Regno Unito era nettamente meglio non scalfire un torneo che permette a 20 squadre di essere molto ben messe economicamente per agevolarne un altro in cui solo sei sarebbero state inondate dai soldi dalla Superlega.

Non a caso in quei giorni il Financial Times nella sua prestigiosa colonna Lex spiegò che per il governo Johnson cavalcare l’indignazione popolare fu facile come segnare “un gol a porta libera”. E il Times andando nei particolari scrisse che l’ambasciatore britannico negli Emirati fece non poche pressioni perché il Manchester City (di proprietà degli sceicchi di Abu Dhabi) abbandonasse la Superlega.

Nello specifico il quotidiano londinese svelò che Lord Udny-Lister, inviato speciale del gabinetto Johnson per il Golfo, spiegò agli emissari del governo degli Emirati Arabi Uniti che un’eventuale partecipazione del Manchester City alla Superlega avrebbe danneggiato i rapporti del Paese con il Regno Unito. «Ha lasciato intendere, in maniera molto chiara, che sarebbe stata una buona cosa per la relazione tra i due Paesi se il progetto non fosse andato avanti» scrisse il Times, non scordando di menzionare come gli Emirati abbiano un legame particolare con il Regno Unito avendo ottenuto l’indipendenza da Londra solo nel 1971: lo sceicco Mansour bin Zayed Al-Nahyan, proprietario del Manchester City, è infatti nato sotto la corona britannica, quando ancora gli Emirati Arabi Uniti di oggi non esistevano.

Inoltre, ma certo non meno importante, come spiegarono all’epoca a Calcio e Finanza fonti londinesi, non vanno nemmeno dimenticate le parole del principe William, dettosi non solo non favorevole alla Superlega ma celebrando la cancellazione della competizione parlando della “voce dei tifosi” che si è fatta sentire. Chi conosce l’Inghilterra sa benissimo quanto sia importante per gran parte della popolazione britannica la moral suasion di Buckingham Palace su molti temi e certamente le parole di un membro molto amato dei Windsor, nonché erede diretto per il trono, aiutarono significativamente il no sul tema dell’esecutivo Johnson.

COS’È CAMBIATO QUATTRO ANNI DOPO

Tutto questo per dire che a poco più di quattro anni di distanza da quegli eventi mai come quest’anno le ambizioni di superpotenza della Premier League hanno trovato conferma nei numeri. Dando quindi ragione nel complesso a chi, apparati statali inclusi, indusse i sei club inglesi ad abbandonare la Superlega.

Nello specifico, nella campagna trasferimenti appena terminata le 20 squadre del maggior campionato inglese hanno investito qualcosa come 3,5 miliardi di euro. Una cifra non solo record ma soprattutto che è superiore a quelle spese dalle altre leghe tre leghe più importanti. I numeri infatti sono questi:

  • Premier League: 3,56 miliardi di euro;
  • Serie A: 1,19 miliardi;
  • Bundesliga: 856 milioni;
  • Liga: 682 milioni;
  • Ligue 1: 636 milioni.

Un dominio che non solo va aumentando negli anni ma che mai era stato così netto come nell’ultima campagna trasferimenti. Per dare un’idea ulteriore i campioni d’Inghilterra del Liverpool hanno speso poco meno di 500 milioni nel mercato, investendo da soli quanto più o meno metà dell’intera Serie A (ma avendo le spalle ben coperte).

Ovviamente questo non significa che sicuramente una squadra di Premier League vincerà la prossima Champions League. Anche perché a ben vedere i club inglesi hanno trionfato solo in tre occasioni negli ultimi dieci anni (Liverpool nel 2019, Chelsea nel 2021 e Manchester City nel 2023), anche se le altre sette sono sempre andate a quelle corazzate nel continente le quali per svariati motivi (fiscali, legati a proprietà miliardari o gestionali) possono tenere il passo con i club inglesi: ovvero Real Madrid (cinque volte), Bayern Monaco e Paris Saint-Germain.

Segnale evidente di come ormai il calcio europeo sia in mano in senso economico (e di conseguenza poi anche tecnico) a una sparuta oligarchia di società alla quale al momento non appartiene alcun club italiano. Per avere un’idea basta osservare i risparmi nel mercato delle nostre squadre per capirlo nell’indagine pubblicata da questa testata che non a caso ha messo in evidenza il saldo positivo per circa 220 milioni di euro delle nostre big nella recente campagna trasferimenti.

Se non vi è la certezza del trionfo in Champions League, sicuramente però questo dominio inglese sul mercato porterà ancora più lustro a un campionato che ormai ha distanziato tutti gli altri per numero di appassionati nel mondo in virtù dei grandi campioni presenti nelle rose d’Oltremanica e dell’alto numero di squadre molto competitive. Non a caso quest’anno la Premier League avrà sei squadre in Champions League.

È sufficiente osservare gli incassi da diritti televisivi per averne un’idea.

Per quanto concerne diritti televisivi nazionali, le principali leghe incassano le seguenti cifre:

  • Premier League: 1,9 miliardi di euro;
  • Liga: 1,2 miliardi di euro;
  • Bundesliga: 1,1 miliardi di euro;
  • Serie A: 900 milioni di euro.

E il divario è ancora più evidente se si osservano i numeri di diritti televisivi internazionali:

  • Premier League: 2,5 miliardi di euro;
  • Liga: 800 milioni di euro;
  • Serie A: 242 milioni di euro;
  • Bundesliga: 150 milioni di euro.
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