Calcionews24
·13 ottobre 2025
Dal calcio al trasferimento negli Usa: la nuova vita dell’ex Milan

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Con La Gazzetta dello Sport ha aperto l’album dei ricordi di un calcio dello scorso secolo.SAN FRANCISCO – «Avevo un punto vendita in piazzale Cadorna, a Milano. Nel 2006, il signor Vegetti, proprietario della catena “Il Fornaio”, mi chiese se fossi interessato a trasferire l’attività negli Usa. Ci ho pensato un po’, nel 2007 sono partito, mi sono innamorato di San Francisco e ho deciso di restare».I PRODOTTI – «Oltre al signor Vegetti, avevo come socio un signore italiano re del caffè, Carlo Di Ruocco, fondatore della catena “Mister Espresso”. Insieme abbiamo aperto un locale a Berkeley. Pizze, panini, focacce e caffè. Una “bakery” all’italiana. A seguire altre aperture e chiusure. Ora lavoro a Richmond, da qui vedo il Golden Gate. Il locale l’ho chiamato Café Gran Milan, in onore di Milano, perché per me Milano è sempre grande. Siamo in una zona industriale, tra due strade, una location nascosta, e all’inizio la cosa mi preoccupava, ma ci siamo fatti conoscere. Oggi abbiamo una clientela affezionata, gente che viene apposta per comprare i nostri prodotti. Li abbiamo fidelizzati, conquistati grazie alla qualità».FATTURATO – «Sì, abbiamo quattro dipendenti e un ottimo fatturato. Poi ho fatto investimenti nell’immobiliare. Qui c’è un mercato del lavoro dinamico, si possono avere tante occupazioni».BOCCIATURA – «Quando venni bocciato alla prima superiore, mia madre per punizione mi mandò a lavorare d’estate, apprendista presso un fornaio. Che si chiamava Gigi Meroni e che mi insegnò a mettere le mani nella farina. La cosa mi piacque. Quando mio padre capì che gli infortuni mi avevano rovinato la carriera, mi chiese che cosa volessi fare da grande, ripensai al pane ed entrai nel settore. Poi ho conosciuto Rocco Princi e andavo a trovarlo, per studiare i suoi negozi. Lui e altri mi hanno insegnato che la qualità è la cosa più importante».L’AMERICA – «Sì, di coraggio ce n’è voluto tanto. L’America non è per tutti, ho visto tante persone venire qui, provarci e ritornare in Italia. Per me la svolta c’è stata quando ho imparato bene l’inglese. È stata Olga, la mia seconda moglie, ad aprirmi gli occhi: “Rufo, in America, se superi la barriera della comunicazione, ti si apre davanti un mare di possibilità”. E così è stato».IL MILAN – «Sono un cuore rossonero, il Milan rimane una cosa importantissima della mia vita. Ci arrivai ragazzino, con il mito di Franco Baresi, e quando me lo trovai davanti per la prima volta, a 16 anni, restai intimorito e senza parole. Per me è stato il più forte difensore centrale della storia. Paolo Maldini lo considero il più grande sulla fascia».IL DEBUTTO IN A – «Ai primi di novembre del 1987, Milan-Torino. Paolo si rompe un’arcata sopracciliare. Il dottor Monti dal campo fa il gesto del cambio. Sacchi si volta verso di me: “Entra tu e stai a sinistra”. Seduto in panchina, ho avuto un attimo di sbandamento. Ero un ragazzo e gli 80 mila di San Siro guardavano tutti me… Poi è andata».GLI INFORTUNI – «Il Milan in difesa aveva Franco Baresi, Tassotti, Paolo Maldini, Costacurta, Filippo Galli… Quali spazi potevo avere? Ariedo Braida, il direttore sportivo, puntava su di me, gli devo tanto, ma, con quella concorrenza, non poteva che mandarmi in giro, a fare esperienza. Ho cominciato però a infortunarmi alle ginocchia, specie al sinistro. Non dimenticherò la seconda operazione, a Lione, perché mi telefonò il presidente, Silvio Berlusconi, e mi disse delle bellissime parole. Ci teneva che recuperassi, credeva in me: ricordo di aver pianto. Dai problemi alla cartilagine del ginocchio sinistro non mi sono più ripreso. Smisi a 25 anni. Non ho più fatto sport. Quando ritorno in Italia, vado a Bologna dal dottor Nanni per le infiltrazioni che tengono a bada i dolori». LEGGI ANCHE >>> Prossimo turno Serie A 2025/2026